"Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero" (Oscar Wilde)

9 novembre 2010

Parola di Arrau


Leggevo un po' di tempo fa un bellissimo libro: "Conversazioni con Arrau" di Joseph Horowitz.
Come ci rivela il titolo, trattasi di colloqui avvenuti tra il maggio 1980 e il luglio 1981 a Douglaston e nel Vermont tra Joseph Horowitz (scrittore, saggista e giornalista eminente della musica americana) e Claudio Arrau León, pianista cileno, uno dei migliori interpreti del ventesimo secolo. Il libro è molto interessante, le conversazioni, registrate e trascritte fedelmente, rispettando il linguaggio, il lessico e le interazioni del pianista, si svolgono quasi in forma di intervista - domanda-risposta - ed affrontano varie tematiche: dall'infanzia, il successo del bambino-prodigio, la maturità, la tecnica pianistica, il repertorio ecc...Quello che mi ha maggiormente colpito leggendo queste conversazioni è stata la parte relativa al periodo di vita venuto post-mortem di Martin Krause, l'insegnante di Arrau, segnato dalla crisi personale e artistica del pianista cileno, culminata in un periodo di cura psicoanalitica con il dottor Hubert Abrahamsohn.
Mi ha stupito la sincerità e la schiettezza con cui Arrau parla dell'attaccamento al suo insegnante, dell'affetto, della stima e del conseguente smarrimento provocato dalla sua scomparsa. Ma più di tutto mi ha stupito la sincerità nel raccontarsi, non solo come artista, ma anche come uomo. Si possono trarre insegnamenti preziosi dai grandi uomini, questo lo si sa con certezza, ed è palese che leggendo alcune righe di queste conversazioni si possa capire meglio il rapporto uomo/artista-pubblico.
Quante volte, e mi rivolgo ai musicisti, vi sarà capitato di sentirvi soli su quello sgabello, davanti al vostro strumento. L'ansia, la paura di sbagliare, il senso di colpa, la temibilissima memoria che sfugge quando proprio non dovrebbe, le mani che tremano, il battito del cuore aumenta...Sono tutte sensazioni che un musicista conosce bene. Sono emozioni terribili ma bellissime nello stesso tempo. Apprezzabili soprattutto quando cala il sipario, quando si spengono le luci e tutto è passato. Ed è bello quando qualche anno dopo ti tornano nella mente, un po' offuscate dal tempo trascorso. Un sorriso si dipinge sui vostri volti, ( ne sono certo ) quando pensate alle paure vissute in quegli attimi.
Ho postato una piccola parte del libro di cui vi parlo. Non ho riportato le domande di J. Horowitz (non me ne voglia!), ma ho estrapolato solo le risposte ( quelle per me più significative ) , quindi sembrerà un monologo che non è.


"Bisogna voler suonare in pubblico non al 100% , perchè non esiste, ma almeno al 90%. Al di sotto di questa percentuale, qualche volta può riuscire fatale (...) Mi sono reso conto, grazie all'analisi, che le difficoltà nelle quali mi dibattevo dipendevano dalla mia vanità. (...) Intendo vanità non nel senso di essere presuntuoso, bensì di voler piacere. E questo dipende certamente dall'insicurezza. (...) 
Quando si è molto giovani non ci si rende conto di essere osservati, e la cosa non ha alcuna importanza. 
Ma con gli anni ci si comincia a chiedere che cosa pensi la gente. (...) Essere una persona umana vuol dire essere ansiosa. E' ridicolo comportarsi come se non lo si fosse, come se non si provasse panico prima di salire sul palcoscenico. Ho dovuto imparare a vivere con le mie ansie (...) Qualcuno crede di potersi liberare dall'ansia, compiendo uno sforzo terribile per non accettarla. Ma l'ansia c'è sempre. Se uno si sente troppo spavaldo, o troppo sicuro di sè, allora c'è qualcosa che non va (...)
Io credo che provare ansia, l'ansia dell'umanità, renda una persona capace di condividere qualunque tipo di sentimento umano. L'empatia è una delle qualità più importanti in un interprete (...)
Con il tempo ho imparato che si dovrebbe semplicemente lasciare che le cose accadano, senza preoccuparsi molto di accontentare il pubblico, di avere successo. In questo caso l'ansia cessa di essere un impedimento e può diventare parte della creatività (...) Quasi ogni interprete deve lottare contro la tentazione di far fiasco (...)
Un tempo pensavo che fosse la fine del mondo e a volte ci mettevo dei mesi per riprendermi. Volevo essere perfetto, divino, al di sopra di ogni imperfezione o errore di memoria. Ma questo produce l'effetto contrario, sempre. Ora non mi angoscio più.
Bisogna dire a se stessi: « E' ridicolo essere così preoccupati, non sono infallibile » "                             

(Claudio Arrau)

E' l'esperienza di un grande ed è tutta racchiusa in poche parole. Il resto Claudio Arrau lo ha detto con le dita.

D.F.

6 novembre 2010

Memories...

Estratto da un mio live della Ciaccona in Re minore (elaborazione concertistica per pianoforte dalla seconda Partita per violino solo) di Bach/Busoni.




20 ottobre 2010

Après un rêve

Ciao, amici miei, torno a scrivere in questo blog.
Sapevo che dopo un lungo silenzio avrei ritrovato le parole, e ne approfitto questa sera in cui mi sento particolarmente ispirato. Come al solito, la base della mia ispirazione non può che essere la Musica, quel desiderio di infinito che ci fa compagnia da sempre.
Mentre scrivo ascolto una melodia bellissima. E' Faurè. Mi ispira lui stasera.
Ah, questi francesi! ...così eleganti, sussurrano le loro dolci note che sembrano parlare alla luna.
Mi rivolgo a voi, amanti della notte. A voi che, come me, trovate la notte incredibilmente poetica, dedico questa melodia, voce malinconica di un amore trovato e svanito nel sogno, come il testo di Bussine che la ispira.


Dans un sommeil que charmait ton image
Je revais le bonheur, ardent mirage,
Tes yeux étaient plus doux, ta voix pure et sonore,
Tu rayonnais comme un ciel éclairé par l' aurore;

Tu m'appellais et je quittais la terre
Pour m'enfuir avec toi vers la lumière,
Les cieux pour nous entr'ouvraient leurs nues,
Splendeurs inconnues, lueurs divines entrevues,

Hélas! Hélas! triste réveil des songes
Je t'appelle, o nuit, rends moi tes mensonges,
Reviens, reviens, radieuse,
Reviens ô nuit mystérieuse!

Romain Bussine (liberamente basato su testo di anonimo toscano)

Joshua Bell suona "Après un rêve" di Gabriel Faurè



17 aprile 2010

Zefiro torna...




Alessandro Botticelli, "La primavera" 1478-1485
(All'estrema destra del dipinto Zefiro rapisce la ninfa Clori)

Ragazzi, ecco la Primavera!!! e questa mattina la sento nell'aria. Rendo omaggio alla Natura che si risveglia e che ci libera dai torpori invernali e ne approfitto per salutare uno dei più grandi musicisti italiani del passato, Claudio Monteverdi.

"Zefiro torna e di soavi accenti"


 Nuria Rial - soprano
Philippe Jaroussky - controtenore
"L'Arpeggiata" ensemble è diretto da Christina Pluhar


Zefiro torna, e di soavi accenti
l'aer fa grato, e 'l piè discioglie a l'onde,
e mormorando tra le verdi fronde,
fa danzar al bel suon su'l prato i fiori.

Inghirlandato il crin Fillide e Clori
note tempran d'amor care e gioconde;
e da monti e da valli ime e profonde
radoppian l'armonia gli antri canori;

sorge più vaga in ciel l'aurora, e 'l sole
sparge più luci d'or, più puro argento
fregia di Teti il bel ceruleo manto.

Sol io, per selve abbandonate e sole,
l'ardor di due begli occhi e 'l mio tormento,
come vuol mia ventura, or piango or canto.

(Ottavio Rinuccini)

Questo piccolo capolavoro fà parte della raccolta "Scherzi musicali" di Claudio Monteverdi del 1632.
E' una ciaccona a due voci (originalmente pensata da Monteverdi per due tenori) che duettano. La struttura del brano è piuttosto semplice; Una prima parte, decisamente ritmica e regolare, si svolge sul basso continuo di ciaccona reiterato in modo ostinato e rappresenta l'immagine della Natura che si risveglia e di Zefiro che ne è messaggero.
La seconda parte, che coincide coi versi "Sol io...", è nettamente contrastante con la prima; è in forma di recitativo declamato ed è espressione della malinconia sentimentale più intima del poeta. Nel brano c'è grande aderenza al testo di Rinuccini, ed è quindi bellissimo il connubio tra musica e parola, anche e soprattutto grazie ai cromatismi e ai cosiddetti madrigalismi su alcune parole chiave come "aer" "onde" "mormorare" "danzare", che rendono viva e zampillante la gioiosità della Natura che si desta.

D.F.

27 marzo 2010

"Herr, unser Herrscher" - Passione secondo Giovanni BWV 245 di Johann Sebastian Bach

Coro d'apertura "Herr, unser Herrscher" della "Passione secondo Giovanni BWV 245 " di Johann Sebastian Bach: Il testo, la cui fonte è ancora incerta, è derivato per i primi tre versi dal Salmo VIII,2 ed è attribuito, per il resto, direttamente alla penna del compositore di Eisenach (con qualche dubbio) .
La struttura del brano è chiaramente tripartita ABA' (A: fino a 4'22" - B: fino a 6'36" nel video che segue). La terza sezione A' è la ripetizione della prima e si basa sulle parole "Herr, unser Herrscher, dessen Ruhm, in allen Landen herrlich ist!" mentre i versi successivi invece riguardano la seconda sezione, che è leggermente più piccola della prima, ma musicalmente molto affine, con passaggio dalla tonalità di Sol minore a quella di Mib maggiore. Come è stato puntualmente notato da alcuni studiosi (Jacques Chailley) vi è una certa discordanza tra le parole del testo in cui si parla di gloria, e il carattere musicale drammatico e severo del brano, lasciando presagire che la fascia melodico-ritmica di semicrome realizzata dagli archi (violini, violini secondi e viole) che compatta e che è presente in tutto il brano, non sia altro che la voluta rappresentazione bachiana del "sotterraneo mormorare della canaglia che prepara le sue macchinazioni" (così riportato in "Passione secondo Giovanni - problemi di Analisi musicale" di Giorgio Pestelli).


"Flagellazione di Cristo" (1444-1470)
Piero della Francesca


Herr, unser Herrscher, dessen Ruhm
In allen Landen herrlich ist!
Zeig’ uns durch deine Passion,
Daß du, der wahre Gottessohn
Zu aller Zeit,
Auch in der großten Niedrigkeit,
Verherrlicht worden bist

Signore, nostro sovrano, la cui gloria
è magnifica per tutta la terra!
Mostraci con la tua Passione
che tu, vero Figlio di Dio,
in ogni tempo,
anche nella più grande umiliazione,
sei stato glorificato

Nel video pubblicato di seguito dirige l'orchestra e il coro a 4 voci, Masaaki Suzuki, organista, clavicembalista e direttore giapponese, ovvero fondatore del Bach Collegium Japan, attivo dal 1990 e specializzato nella diffusione ed esecuzione con strumenti d'epoca della musica Barocca in Giappone. Buon ascolto.



11 febbraio 2010

Richard Wagner il Mago

Che il teatro non diventi il signore delle arti; 
Che il commediante non diventi lo sviatore dei genuini;
Che la musica non diventi un'arte della menzogna.
Friedrich Nietzsche
- Il caso Wagner -


Che nella vita si possa cambiare idea è cosa risaputa, ed è ciò che successe a F.Nietzsche in merito alla musica di Wagner. Considerato nei primi tempi, e per lungo, un suo maestro, al pari del filosofo Schopenhauer, Wagner finì per essere per Nietzsche l'autentica bestia nera, una specie di "diabolus in musica et in vita", il corruttore del gusto, dello stile, dell'idea e dello stesso dramma.
Mi sono imbattutto casualmente (ma neanche tanto) nella lettura de "Scritti su Wagner - Il caso Wagner - Nietzsche contra Wagner", scritti da F.Nietzsche nel 1888 (Nietzsche contra Wagner è una raccolta di concetti già espressi precedentemente in altre opere del filosofo tedesco e messi insieme in modo omogeneo almeno per ciò che riguarda la forma, per il contenuto ci sono varie incongruenze) non molto tempo prima dell'esplosione della sua malattia.
Già a partire dalla sua prefazione, Nietzsche sottolinea la sua posizione anti-wagneriana, anti decadente, dove per décadent si intende tutto ciò che ci possa essere di malato nell'uomo, nella morale e nell'arte.
Nella morale, il passaggio dal mito di Sigfrido - l'eroe rivoluzionario che sfida il dio Wotan, nato, contrariamente alla tradizione dei benpensanti, da un adulterio (incesto) voluto e inventato peraltro da Wagner stesso che modifica la saga islandese - all'eroe Parsifal, il sempliciotto campestre che sceglie la via della castità, fugge dalla seduzione di Kundry e rinuncia al lato più dionisiaco della vita per i valori tipici del cristianesimo e del pensiero schopenhaueriano (pace derivata dalla rinuncia - la Noluntas schopenhaueriana che conduce al nirvana) , è giudicato da Nietzsche in modo molto negativo. Egli lo interpreta come una rinnegazione di tutto ciò in cui il musicista aveva creduto in passato, un'adesione al decadentismo schopenhaueriano e una prostrazione davanti alla Croce. (la posizione di Nietzsche verso il decadentismo è complessa, poichè egli ne condivide la lotta al positivismo scientifico-razionalista, al livellamento democratico dell'individuo e alle ipocrite leggi morali, ma nello stesso tempo ne condanna la debolezza delle risposte date da Schopenhauer con il suo nichilismo passivo-pessimistico e da Wagner con il suo presunto ricongiungimento alla fede. L'unica risposta accettabile per Nietzsche sarà quella del suo "Oltre-uomo" capace di accettare la vita nella sua tragica caoticità senza idolatrare nulla: nè la fede nè la scienza, ma solo sè stesso)
Tra l'altro, sia detto per inciso, il tentativo di persuasione di Kundry su Parsifal, il ricordo della madre e il bacio erotico-materno fanno di questo momento un capolavoro di modernità e di introspezione psicanalitica pre-freudiana, oltreché uno dei momenti più vivi del dramma.

Bayreuth - cartolina mostrante Kundry intenta a sedurre Parsifal

Il problema di fondo, per Nietzsche, non è tanto nella presenza di questo tipo di morale "cristiana", anche se intravede in Parsifal un ritorno all'oscurantismo più morboso del cristianesimo. Egli accetta la contrapposizione di una morale cristiana ad una "morale dei signori" (o aristocratica) caratterizzata dalla volontà di potenza, che cerca la pienezza delle cose, e che razionalizza il mondo vivendolo senza prospettive metafisiche (tipicamente nietzschiana insomma) ma non sopporta e condanna dunque severamente la falsità di chi come Wagner, fà l'occhiolino alla morale dei signori riconoscibile nella saga islandese (Anello dei Nibelunghi) e parallelamente ha sulle labbra la dottrina contraria, ossia quella del "Vangelo degli umili" basata sul bisogno della "redenzione" presente in Parsifal.
- Il bisogno di redenzione è per Nietzsche una tipica forma di decadenza sia morale che estetica, che significa per il cristiano la volontà di "staccarsi da sè stesso";
- la morale e l'estetica aristocratica invece hanno la loro radice nella autoaffermazione e autoglorificazione della vita.
Passiamo ora alla musica.
Wagner attuò una vera rivoluzione nella forma musicale, dovuta principalmente all'uso dell'armonia che contribuì alla disgregazione dell'unità tonale della composizione. In Wagner le dimensioni del Dramma e la continuità dei cambiamenti tonali fanno sì che si perda il senso della tonalità madre. Nel Tristano e Isotta, per esempio, le infinite successioni armoniche e la durata dell'opera - più di 4 ore in cui si passa da una tonalità all'altra attraverso modulazioni, alterazioni cromatiche di accordi, cadenze di inganno - fanno dimenticare all'ascoltatore la tonalità di partenza dell'opera.



Zubin Mehta dirige il Preludio del "Tristano e Isotta" - Teatro Nazionale di Monaco -






Nel "Manuale di armonia" di Diether de la Motte sono riportate varie interpretazioni di questo accordo al quale si è da sempre dedicata molta attenzione e studio.
Secondo una delle interpretazioni più blasonate,
quella di Ernst Kurth il Tristan-Akkord è un accordo di 7a di dominante della dominante in cui la 5a Fa# che si trova al basso acuisce la sua tensione melodica verso il successivo Mi comparendo nella forma alterata in senso discendente (dunque Fa naturale) ; il Sol# (voce superiore) invece è da interpretarsi come suono cromatico estraneo all'armonia che va a sostituire, come ritardo, la nota La su cui risolve. L'accordo dominantico successivo su cui risolve il Tristan-Akkord presenta lo stesso movimento cromatico nella voce acuta ( La# che risolve sul Si, giustificando la tipica condotta cromatica dei ritardi).

Non a caso, quest'opera e il suo "tristanakkord" si pongono nella storia della musica come un punto di non ritorno. Anton Webern, esponente di spicco della Seconda Scuola di Vienna disse una cosa importantissima su questo modo di comporre, sulla modulazione e sul suo utilizzo, considerandoli come i veri responsabili della crisi del sistema tonale.
E' forse questo ciò di cui aveva paura Nietzsche?
Egli imputa a Wagner (e forse è tra le maggiori accuse che si possano rivolgere ad un compositore) l'incapacità di tenere legati i fili del discorso musicale.
Lo definisce impacciato, misero, e incompetente quando cerca di sviluppare materiale sonoro, mentre gli riconosce grande maestria nell'invenzione di cose minime, nell'elaborazione poetica dei particolari. Insomma il grande Wagner ridotto a semplice miniaturista, concetto ribadito anche in "Nietzsche contra Wagner" quando Nietzsche lo definisce bravo nel mettere in musica sè stesso e maestro dell'assolutamente piccolo. (una battuta, due battute, cinque o 15 battute di musica splendida e poi stop!)
E qui ci sarebbe da fare una considerazione: il filosofo esagera sicuramente, le sue parole sembrano, per tutto lo scritto, pervase da un odio cieco; a tratti sembra che la sua lucidità sia oscurata quasi dall'invidia per il successo di Wagner e della sua musica, tanto da prendersela con wagneriani, tedeschi e francesi adulatori del grande "Histrio" , ma non ha tutti i torti quando definisce la sua musica "bella solo a tratti". Ascoltando Wagner, anche io ho sempre avuto l'impressione che il meglio lo si possa ricavare dalle singole pagine, soprattutto sinfonico-orchestrali. Il preludio del Tristano e Isotta o l'Idillio di Sigfrido sono tra le pagine più sensuali e commoventi che siano mai state scritte, e davvero le si apprezza per ciò che sono, per la potenza drammatica che è intrinseca nella loro musica. L'accusa di miniaturismo è azzeccata. Esso è il riflesso dello stile di ogni arte dècadent, ossia la "anarchia degli atomi" tipica dello stile decadente.
Facciamo un esempio.
Se prendiamo la poetica simbolista di Baudelaire, Verlaine, Rimbaud ci accorgiamo che il tentativo di chi scrive è di non svelare tutto; nel testo poetico si cerca la sfumatura, l'imprecisione, l'indefinito, tutto ciò che è vago così da lasciare un margine di interpretazione al lettore, ma più di ogni cosa si cerca la musica, la suggestione, l'effetto, la magia, e ancora la musica. E' fin troppo evidente che non ci si preoccupa più della struttura, della forma, del contenuto. E' la musicalità che conta. La parola (intesa come mezzo fonetico però, non come significato) finisce per prendere il sopravvento sulla frase così come la frase ruba significato alla pagina. Quindi il significato della pagina diviene oscuro e il tutto non è più un tutto.
Credo che questo sia stato uno tra i periodi più belli per la storia della poetica. L'esaltazione dell'irrazionale nella poesia ha funzionato eccome! e anche in Wagner (amato dai simbolisti come Debussy, non a caso quest'ultimo fu tra i primi eredi delle innovazioni wagneriane) l'effetto funziona: ruba lo spirito, persuade, appassiona, intriga. Ma a volte è solo un attimo, poche battute di musica squisita per poi ritornare nell'abisso. Ed è proprio per questo che Nietzsche chiama Wagner miniaturista e basta...
Lo stesso Nietzsche, in una disamina della musica composta da Wagner non può sottrarsi dall'elogiare la bellezza dell'Idillio di Sigfrido, ma per il resto considera la sua musica disastrosa, o addirittura pericolosa.

(...) All'artista della dècadence - questa è la parola. Ed è da qui che io incomincio a fare sul serio. Lungi da me l'idea di starmene a guardare passivamente, quando questo dècadent ci guasta la salute - e per di più la musica! E' Wagner in genere un essere umano? Non è invece una malattia? Egli fa ammalare tutto ciò che tocca - ha fatto ammalare la musica (...)

( 5 - "Il caso Wagner")

Il tentativo di non perseguire il bello ma il grandioso, il sublime, il gigantesco, guardandosi bene dalla bellezza della musica stessa, soprattutto dalla melodia, e la continua passione presente nella musica wagneriana e che Nietszche definisce "la ginnastica del brutto sulla corda dell'enarmonia" , sono considerate dal filosofo come un vero esempio di culto del "brutto" , e difendendo il lato edonistico (ciò che procura piacere) della musica, egli accusa Wagner e il suo pubblico (soprattutto i Bayreuthiani) di bigottismo. Troppa bruttezza e troppa serietà! (è passata alla storia la serietà comportamentale del pubblico wagneriano a Bayreuth durante le rappresentazioni)
Mi chiedo cosa avrebbe detto Nietzsche se avesse ascoltato le "porcate" dei futuristi o le composizioni seriali, da A.Schoenberg a P.Boulèz, passando per K.Stockhausen e tanti altri illustri maestri della scuola di Darmstadt.
Io non mi voglio arrogare il diritto di giudicare musicisti di tal specie, ma non posso non guardare con diffidenza coloro che, sperando di essere innovativi e originali ad ogni costo, hanno percorso le strade più ardue e impensabili, e fallendo in continuazione, hanno provocato lo strappo tra compositore-musica-pubblico vantandosi (come faceva Schoenberg) di aver compiuto una missione nella musica occidentale!
E qui ci andrebbe una bella pernacchia! prrr!
Penso ad una composizione come "Structures I e II" per due pianoforti di Pierre Boulèz e credo che più che difendere il lato edonistico della musica, come tentava di fare Nietzsche con Wagner, qui si dovrebbe difendere la salute mentale di qualcuno!
Non me ne voglia Pierre Boulèz, ma matematica e musica non hanno mai rappresentato - almeno per me - un binomio interessante...
Tornando a Wagner...perplessità vengono sollevate anche nell'uso della"melodia infinita" (questa espressione è più che mai inadatta a dire il vero; meglio dire successione armonica infinita) che Nietzsche considera innovativa e interessante a tratti, ma artisticamente subdola in quanto persegue anch'essa l'obiettivo dell'effetto, dell'espressivo e del commovente ad ogni costo. L'accusa "cattiva" si fonda sulla convinzione che Wagner sacrifichi ogni stile in musica per fare di essa stessa una retorica teatrale, un rafforzamento della gestualità, una suggestione psicologico-pittoresca, e fin qui, sulle intenzioni del compositore, si potrebbe, a mio avviso, scegliere di non obiettare.
Insomma, parliamoci chiaro: se sono un sostenitore della teoria wagneriana basata sull'assunto che "lo scopo è il Dramma, la musica è sempre e solo il mezzo", devo necessariamente non obiettare, e della composizione dovrò ammirarne l'azione, accontentandomi di vedere la musica schiava della parola e del gesto. Ma se, per dirla alla Nietzsche, lo scopo diventa la posa (il gesto, l'effetto teatrale) mentre il dramma e la musica fungono solo da mezzi, allora sì che anche a voler essere il più accanito sostenitore di Wagner dovrò per forza ammettere che la sua creazione non è più nè musica nè dramma, ma solo effetto.
Mi permetto di sollevare un quesito: è un vero dilemma (lo ammetto) che aleggia nella mia mente quando penso alle opere wagneriane (ma anche a tanta musica operistica non wagneriana ahimè...) : Come si può pensare che la musica possa essere subordinata a qualche altra forma di comunicazione? può essere un tutt'uno con la parola al limite, ma immaginare la musica subordinata al gesto, e soprattutto pensare che l'esperienza possa funzionare mi sembra davvero un po' pretestuoso oltre che velleitario!
In questo, evidentemente, dovrò essere d'accordo con Nietzsche quando definisce Wagner un "Histrio", grande mimo, grande genio teatrale ( in senso molto più negativo di quanto potrebbe sembrare).
E' nella riflessione sulla drammaturgia wagneriana però che Nietzsche, secondo me, si supera.
Egli non considera affatto Wagner un drammaturgo; ribadendo il concetto per cui l'unico obiettivo del musicista sia l'effetto, afferma che per ottenerlo sia pronto a sacrificare ciò di cui ha più bisogno un dramma: l'intreccio. L'accusa di Nietzsche diventa addirittura irrisoria quando ricorda che proprio a Wagner, che si vanta tanto e si dà aria di superiorità nel paragonare il "suo" dramma all'opera, manca la dote principale per chi voglia creare un dramma, ossia la motivazione psicologica dei personaggi che nelle sue creazioni è invece sostituita dall'idiosincrasia stereotipata (tratti comportamentali tipici di un soggetto e conseguente avversione tra i personaggi con temperamento opposto) dei soggetti rappresentati.
Vi riporto un altro passo de "Il caso Wagner".

(...) I problemi che egli porta sulla scena - tutti problemi di isterismo - le convulsioni delle sue passioni, la sua sensibilità sovreccitata, il suo gusto, che vuole droghe sempre più piccanti, la sua instabilità, che egli travestiva da princìpi, non ultima la scelta dei suoi eroi e delle sue eroine, considerati come tipi fisiologici (una galleria di malati!) : tutte queste cose insieme rappresentano un quadro clinico che non lascia dubbi. Wagner est une nèvrose (...)

Interessantissima anche la postilla nietzschiana sul fraintendimento della parola "dramma" che non andrebbe tradotto dal greco con "azione" ma con "avvenimento, storia"; ne dà testimonianza il fatto che il dramma antico si svolgesse escludendo l'azione, spostandola prima dell'inizio o dopo la scena.

Wilhelm Richard Wagner (Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883)

Concludo dicendo che io, musicalmente, Wagner continuerò ad ammirarlo così. Miniaturista, bello nelle magie degli impasti e dei colori orchestrali, nella strumentazione delle grandi pagine di passione felice, dolorosa, struggente e della contemplazione della natura, nei trionfi dei suoi eroi, nelle rinunce e nelle sconfitte, insomma in tutto ciò che mi può far sentire vivo.
Tutto il resto posso anche fingere di non ascoltarlo, non ho bisogno di stare 4 ore seduto in teatro per sentirmi soddisfatto, non ho bisogno di seguire un "dramma" dal principio alla fine (tra l'altro in tedesco sai che barba!) , in fondo la storia della musica è piena di esempi di pagine di buona e cattiva musica così come la storia della letteratura o delle arti figurative, hanno momenti altissimi e altri un pò meno.
Bisogna saper scegliere ciò che si ascolta; noi cerchiamo sempre di scegliere il meglio e soprattutto non dimentichiamoci che l'antico proverbio "de gustibus non disputandum est" è sempre valido...

Damiano Franco


Daniel Barenboim dirige i Berliner Philharmoniker

7 febbraio 2010

"L'uomo che guardava passare i treni"

Ho letto un pò di tempo fà un bel romanzo di Georges Simenon, ovvero "L'uomo che guardava passare i treni".
Il libro, un giallo-poliziesco dai contenuti esistenzialistici, racconta la storia di Kees Popinga, un olandese che vive in una tranquilla cittadina borghese, Groninga, e che conduce la classica vita monotona, senza grosse pretese, tuttavia abbastanza serena e rassicurante sia in famiglia che fuori. Il massimo divertimento per il protagonista è la partita giocata con amici al circolo di scacchi.
Il suo capo, un certo Julius de Coster, una sera, gli confida il fallimento della fabbrica in cui lavora (una fabbrica di forniture navali in cui Popinga è impiegato) , e tutto ad un tratto scatta nel "Signor Popinga" una molla che lo conduce a fare le cose più impensabili agli occhi degli altri, di "maman"( la moglie che improvvisamente si accorge di non amare) di sua figlia, e di tutta la gente ipocrita che ha riempito la sua inutile vita fino a quel momento.
Dunque fugge.
I treni che ha visto continuamente passare dalla sua Groninga e di cui ha sempre invidiato la vita annidata fra i vagoni, le speranze dei viaggianti, che sono quelle tipiche di chi muove i primi passi verso un posto nuovo, questa volta portano via anche lui. Parigi sarà la sua meta.
Il seguito, è la vicenda di un uomo improvvisamente libero che lascia tutto e tutti per vivere una nuova vita in cui poter dare libero sfogo alle sue passioni più recondite e tenute arditamente a bada per troppo tempo. ( fin qui la somiglianza ai protagonisti dei romanzi di Italo Svevo è netta, ovvero l'uomo "imprigionato" nella sua inettitudine che non lo soddisfa a pieno, ma gli consente di vivere una vita serena anche se da spettatore - in Svevo anche spettatore del disfacimento altrui...)



Georges Joseph Christian Simenon (Liegi, 13 Febbraio 1903 - Losanna, 4 Settembre 1989) scrittore belga di lingua francese noto per aver ideato la serie poliziesca del commissario Maigret



Uccide casualmente una donna con cui ha fantasticato e progettato di far sesso e, ricercato dalla polizia, trova rifugio e protezione presso un gruppo di malviventi e ladri d'auto, rischiando di uccidere nuovamente una prostituta di cui si è invaghito, ma alla fine resta terribilmente solo, nella sua libertà ormai solo "fittizia" e con la sua nuova identità (quello dell'identità è l'altro tema importante del romanzo che fà di Popinga l'alter ego dei pirandelliani Vitangelo Moscarda o Mattia Pascal...) che è costretto ad indossare per non farsi riconoscere dai poliziotti parigini.
E infatti, la sua partita a scacchi più importante la gioca proprio con la polizia, servendosi della stampa parigina, e affannandosi nel tentativo di far quadrare la sua "maschera" agli occhi di chi osserva, limitando e limando le incongruenze ed eliminando le false verità che i giornalisti scrivono di lui.

E' evidente in tutto questo il comportamento delirante di Popinga. Paradossalmente, la sensazione che si prova leggendo questo romanzo (che lo si può leggere a diversi livelli) è che, alla fine, ci si sente quasi a proprio agio nei contorti pensieri del protagonista, tanto da chiedersi:
"E' Popinga il pazzo?"

Si finisce per tifare per lui, un pò come avviene per Raskolnikov in "Delitto e Castigo" di Dostoevskij, (un romanzo che io adoro) dove a metà romanzo ci si inebria un pò della dottrina nietzchiana del super-uomo anche se un pò troppo comodamente adattata alle esigenze del protagonista, e quasi si finisce per giustificare l'omicidio della vecchia usuraia e condividere il folle gesto (provocato da un nobile sentimento però) di un povero studente di legge, Raskolnikov per l'appunto, che si pone contro il mondo intero e soprattutto contro l'ipocrisia e le leggi del moralismo imperante.
E questo è proprio ciò che accade leggendo la strana vicenda di Kees Popinga.
Ci si interroga sulla precarietà dell'esistenza e della mente umana e ci si chiede se sia più giusto vivere nella propria comoda vita fatta di regolette e di bei sorrisi falsi piuttosto che prendere quel treno e fuggire là dove tutto è ancora possibile...

Damiano Franco