"Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero" (Oscar Wilde)

28 dicembre 2009

Ballata op.23 n°1 in Sol minore - F. Chopin

La Ballata op.23 n°1 in Sol minore di F.Chopin fu composta nel 1835, anche se alcuni abbozzi pervenuti a noi testimoniano che Chopin ci stesse lavorando già dal 1831.
Pezzo complesso nella struttura, come tutte le ballate del compositore polacco, la prima Ballata in Sol minore è un brano articolato in varie sezioni ed è decisamente uno dei brani pianistici che prediligo.
Il brano esordisce con una sesta napoletana (nella sua conformazione più tipica ossia proprio in primo rivolto dell'armonia del 2° grado minore, in questo caso costruita dunque sull'armonia della triade maggiore di lab ), che conduce alla fermata di un'intera misura sull'armonia di dominante. Fino ad allora l'introduzione, una specie di recitativo imitante quasi una timbrica violoncellistica, sembra non voler svelare la tonalità di appartenenza, giocando coi la bemolle percepiti dall'ascoltatore come elementi tonali (il lab sembra la tonica).

(Autografo della prima pagina; introduzione e primo tema)

Come molti ampi pezzi virtuosistici per pianoforte del Romanticismo, anche questa Ballata sembra voler infondere idee musicali di generi tra di essi differenti: potremmo descriverle come "espressività lirica" da un lato e "brillantezza, potenza e passione retorica" dall’altro.
Le idee tematiche principali sono due. La prima affiora immediatamente dopo l'introduzione ( ossia a battuta 7 in sol minore, intorno ai 30" nel video ) ed è una melodia che compare solo nella tonalità minore con un accompagnamento "strappato" che ricorda la recitazione nello stile della ballata. La seconda, che compare a misura 67, (2 minuti e 30" nel video) è un'idea musicale appassionata, eroica, in modo maggiore (mi bemolle), e caratterizzata inizialmente da una lieve ambiguità tra la tonalità di mi bemolle e si bemolle maggiore, per il semplice fatto che essa è introdotta da una dominante secondaria (per più di 4 battute ci si sofferma sul fa maggiore). tra queste idee tematiche si vanno ad intersecare altri momenti di transizione come l'episodio bellissimo presente alla misura 36 e l'altro di misura 138 (assente nel video). Sono questi due, episodi che posseggono una tale stabilità metrico-armonica che assumono subito una chiara identità tematica e vanno a contrastare i temi portanti del brano che compaiono sotto "mutate spoglie" nell'arco della ballata. Bellissima la ricomparsa, ad esempio, del primo tema a misura 94 (3.40" nel video) in tutt'altro clima, adatto alla preparazione dell'episodio centrale, eroico e tra i più appassionati di tutta la letteratura pianistica romantica, che esplode in tutta la sua bellezza a misura 106 (4.05").

Damiano Franco suona la Ballata op.23 in Sol minore
(F.Chopin)



Ma la vera sorpresa del brano è l'ennesima ricomparsa del primo tema alla misura 194. Questa volta si basa su un lungo pedale di Re (una caratteristica che non possedeva in nessuna delle sue precedenti uscite) e collega al "Presto con fuoco" conclusivo da me stesso suonato nel prossimo video.
Disse Robert Schumann di questa composizione in una recensione su musiche di Chopin: "Egli (Chopin) disse ch'era stato ispirato per le sue Ballate da alcune poesie di Adam Mickiewicz"; non sappiamo esattamente il significato e il valore della parola "ispirato" (ispirato dal contenuto letterario del testo di una specifica ballata del poeta? a questo proposito c'è chi ritiene che il brano sia ispirato al poema letterario-narrativo Konrad Wallenrod del 1828) ma è inconfutabile il legame epico-nazionale tra le opere dei due artisti polacchi.
Personalmente non mi interessa molto. Anzi, forse è meglio non conoscere il contenuto che ha ispirato il musicista; si ha più spazio e libertà di "contestualizzare" la musica suonata o ascoltata.

Presto con fuoco...











7 dicembre 2009

verso mezzanotte...

Keith Jarrett suona "Round About Midnight" (Thelonious Monk, Cootie Williams)





It begins to tell,
'round midnight, midnight.
I do pretty well, till after sundown,
Suppertime I'm feelin'sad;
But it really gets bad,
'round midnight.

Memories always start 'round midnight
Haven't got the heart to stand those memories,
When my heart is still with you,
And ol'midnight knows it, too.
When a quarrel we had needs mending,
Does it mean that our love is ending.
Darlin' I need you, lately I find
You're out of my heart,
And l'm out of my mind.

Let our hearts take wings'
'round midnight, midnight
Let the angels sing,
for your returning.
Till our love is safe and sound.
And old midnight comes around.
Feelin' sad,
really gets bad
Round, Round, Round Midnight

(Bernie Hanigen)
E questo è il solo del sassofonista Michael Brecker ricco di inventiva come il video...


un post senza parole...

Keith Jarrett - Somewhere Over the Rainbow





«Dove le parole finiscono, inizia la musica.»

Heinrich Heine

4 dicembre 2009

"Sulla qualità dello studio del pianoforte"


Insegnare a suonare il pianoforte non è affatto facile, e non lo è per vari motivi.
Nella mia esperienza, maturata in questi anni di insegnamento privato, spesso mi sono trovato di fronte a ragazzi non motivati, condotti a lezione di piano per una passione più "genitoriale" che autentica, a volte perchè "è giusto che i ragazzi si tengano impegnati" e, nei casi peggiori, solo per costume. Per molti, mandare il proprio figlio a lezione di piano, avere un bel pianoforte in casa, è "chic", per cui la lezione di piano, mascherata da interesse dell'allievo, diviene più condivisione (da parte dell'adulto-genitore) di un atteggiamento socio-culturale di nicchia.
Così facendo, si trascurano irrimediabilmente e si dimenticano i motivi principali che dovrebbero guidare un bambino/ragazzo allo studio dello strumento:
1) la passione per la musica;
2) la consapevolezza, da parte dei genitori, che studiare pianoforte è, per un ragazzo, formativo almeno quanto lo è lo studio dell'italiano, della matematica, della storia, le scienze, ecc...se non di più;
L'altro annoso problema di chi insegna pianoforte ( o musica più in generale) è che bisogna fare i conti con la pallavolo, il basket, il calcio, la piscina, il progetto a scuola, il corso di informatica e di inglese, la danza...quella classica, moderna, funky...e il torneo di scacchi, quello dei rioni...e tutta una serie di impegni che fanno della vita di un adolescente ( e molto spesso pre-adolescente) un'agenda un po' troppo piena; forse così piena che si possono notare i primi segni di stress già in ragazzi di 10 anni!
Se a tutto questo ci aggiungiamo che qualche allievo ad un certo punto, senza preavviso, potrebbe alzarsi una mattina convinto che lo strumento più adatto a sè stesso non è il pianoforte ma la tromba o la fisarmonica, 
( oppure tutt'e due) ma anche la chitarra, il sassofono, il clarinetto e chi più ne ha più ne metta, viene da pensare:
"Ok, va bene...cambio mestiere!"
Accantonàti un attimo questi problemi preliminari possiamo spendere due parole sull'argomento STUDIO, che è il vero scopo di questo mio post.
L'argomento-studio è importante per un musicista più che per chiunque altro professionista. Lo studio è quella pratica giornaliera che lo accompagnerà sempre, dagli esordi fino alla fine della propria eventuale carriera concertistica o didattica; io amo paragonare lo studio di uno strumento musicale all'esercizio dell'atleta che allena il suo corpo sempre con spirito di sacrificio e di abnegazione. Ed è per questo motivo che su questo stesso argomento si potrebbero versare fiumi di parole senza esaurirne i contenuti e i significati pedagogici, ad essi correlati, della proposta didattica.
Incominciamo dicendo che l'allievo deve studiare cercando di raggiungere il risultato migliore, ottimizzando i tempi soprattutto, quindi imparando a lavorare con continuità e consapevolezza senza perdere tempo a vuoto.
Per "consapevolezza" si intende la capacità di studiare essendo sempre "illuminati" dalla logica e dalla razionalità, prediligendo la qualità a scapito della quantità di studio.
Come afferma G.Sandor in "L'Arte di suonare", lo studio - "non deve essere attività meccanica e automatica, e deve svolgersi invece sotto il vigile controllo del cervello" - anche quando ci si esercita semplicemente in esercizi di tecnica pura - aggiungerei io - sebbene non richiedano un particolare sforzo intellettivo. ( io consiglio vivamente lo studio della tecnica pura solo dopo quello dei pezzi di repertorio, proprio perchè gli esercizi si riducono a semplici formule ritmico-melodiche o comunque fisico-digitali meccaniche).
Alla domanda su quanto tempo occorre studiare al giorno per imparare a suonare bene il pianoforte non c'è una risposta. Sono troppe le variabili che vanno ad influenzare la quantità di studio necessaria, e includono le motivazioni dell'allievo, gli obiettivi che si vogliono conseguire, senza trascurare ovviamente le concrete potenzialità del piccolo pianista. Studiare bene è difficile, richiede sforzo, e soprattutto attenzione da parte dei supervisori. Il compito dell'insegnante è quello di facilitare l'apprendimento e di "insegnare ad apprendere".
Maggiore è la presenza dei supervisori nel lavoro giornaliero dell'allievo, e maggiori saranno i risultati ottenuti. Diverse statistiche hanno evidenziato come casi di "enfants prodiges" si sviluppino in situazioni cognitive-culturali e motivazionali idonee, quindi, volendo fare un esempio, avere un padre/madre-docente in casa che supervisiona costantemente lo studio del proprio figlio, può essere un fattore di grande vantaggio (non è una regola però) ,in quanto aiuta lo studente ad eliminare dalla propria pratica tutto ciò che vi può essere di superfluo e di inefficace.



Autentico caso di enfant prodige, Beatrice Rana, 15 anni leccese, live in Auditorium Flaiano in Pescara, suona il Concerto per Pianoforte e Orchestra N°1 Op.23 di Tchaikovsky (frammento) - Dir. Dario Lucantoni (Orchestra Sinfonica di Pescara)

L'errore più comune per uno studente inesperto è quello di ripetere diverse volte lo stesso brano senza soffermarsi sulle sezioni problematiche e più difficoltose.
In questo modo si rischia di perdere ore sullo strumento con risultati, il più delle volte, frustranti.
Ed è proprio questo il motivo per cui un allievo può esercitarsi quotidianamente sul pianoforte senza riuscire a fare progressi soddisfacenti, mentre un altro dimostra ogni giorno un miglioramento magari studiando di meno ma con cognizione di causa.
E' questo il talento più importante, a mio avviso, per uno studente: la capacità di osservare ciò che fa mentre suona, il "far da solo" ossia il divenire un vero e proprio "maestro di se stesso"; sono abitudini queste che porteranno solo benefici, a differenza di coloro che, pur mettendoci tanto impegno, non si rendono conto che imparare a memoria e ripetere una brutta esecuzione anche cento volte non comporterà mai nè miglioramenti, nè il raggiungimento della tanto agognata perfezione musicale (concetto alquanto relativo).
Purtroppo, come sempre, ciò che è più utile è sempre più difficile da ottenere, ed infatti lo studio razionale è quello che richiede maggiore spendibilità in termini di energia e risorse mentali, e soprattutto, maggiori motivazioni per essere affrontato con serietà.
Consolatevi ragazzi, quando considerate che non sono rari i casi in cui allievi meno talentuosi e meno dotati da un punto di vista squisitamente musicale, suonano meglio di altri "genietti" pigri e svogliati.
Non è affatto detto che colui che venga considerato in tenera età una "giovane promessa" diventi un grande concertista.

Damiano Franco

16 novembre 2009

"Sulla sperata Riforma dell'Istruzione musicale italiana"


Ministro Mariastella Gelmini: RIMANDATO!


Il nuovo Liceo Musicale sta per nascere. Nella speranza che qualcosa possa muoversi nel mondo dell'istruzione musicale italiana non posso non esternare alcune perplessità.

Sì. Sono perplesso.
Premetto che esistono attualmente già tre Licei Musicali, ossia il Giuseppe Verdi di Milano (1981), "Arrigo Boito" di Parma (1979), "Bonporti" di Trento (1982) che operano in connessione con il Conservatorio prevedendo la doppia scolarità Liceo-Conservatorio. Il futuro di questi Licei già esistenti e del tutto "sperimentali" è alquanto incerto; infatti non si comprende se questi ultimi saranno automaticamente trasformati in Licei Musicali di nuovo ordinamento.
Il Liceo Musicale-Coreutico previsto dalla Gelmini, che dovrebbe esordire nell'anno scolastico 2010/2011 ed entrare a pieno regime nel 2013 (pare), sarà un Istituto autonomo, per volontà dell'attuale Ministro della Pubblica Istruzione anche se sarà inevitabile nei primi tempi una collaborazione con gli attuali Conservatori e le Accademie di danza per le materie di competenza.
Il problema iniziale sarà il numero esiguo di strutture su tutto il territorio italiano. La Gelmini ne ha previsti 40 (solo dieci con l'opzione della danza) anche se le richieste giunte al Ministero sono di gran lunga superiori alle aspettative (si parla di 100 richieste).
Emilio Ghezzi, direttore del Conservatorio di Parma, qualche mese fà aveva parlato di una eventuale selezione all'ingresso. Essendo pochi i posti (si parla di 40 Licei costituiti da una sola sezione; 25 ragazzi per ogni sezione per un totale di soli mille frequentanti), il Liceo musicale e coreutico potrebbe dunque essere il primo caso di scuola superiore a numero chiuso.
Io mi chiedo perchè!
Perchè attuare una selezione al Liceo quando la si può tranquillamente rimandare in un eventuale esame di ingresso alla cosiddetta "Università della Musica" come avviene regolarmente in tutte le altre facoltà Universitarie?
La domanda di un liceo con queste caratteristiche, nel mercato dell' istruzione, è alta. Abbiamo già detto che al ministero sono arrivate cento richieste. Ed anche sull'onda di trasmissioni di grande successo del genere "talent show" , tanto amate dagli adolescenti, il nuovo liceo potrebbe essere preso d' assalto.
I consulenti della Gelmini parlano poi di selezione da effettuare in base al "talento" dei futuri liceali...

La domanda nasce spontanea: Caro Ministro Gelmini, Lei è informata del fatto che anche Giuseppe Verdi fu escluso dal Conservatorio di Milano poichè lo si riteneva "poco dotato" ? ehm...mi scusi...Lei sa chi era Giuseppe Verdi vero??

Ma sapete cosa ci rispondono i collaboratori del Ministro Gelmini?

"Al ministero i collaboratori della Gelmini contano sul buon senso delle famiglie: inutile iscrivere chi risulta inabile alla danza o è stonato, solo perché quel tipo di liceo è alla moda. Bisognerebbe prendere esempio, azzarda qualcuno, dai due prof della scuola di «Amici», Alessandra Celentano e Luca Jurman, i più selettivi, quelli che per il tuo bene ti dicono se hai i numeri oppure no."

Queste poche righe sono riportate in un articolo di qualche mese fà scritto da Giulio Benedetti sul Corriere della Sera.

Ed io continuo ad essere perplesso.
Mi domando cosa si può pretendere da un tredicenne/quattordicenne che vuole iscriversi al Liceo Musicale ma che non ha mai toccato uno strumento musicale in vita sua!!! Per carità, non ci illudiamo, perchè avvantaggiati non ne usciranno neanche coloro che provengono da una Scuola Secondaria di I° grado ad indirizzo musicale, visto che in quest'ultima si pensa soprattutto al saggietto natalizio o al concertino di fine anno, senza curarsi della reale formazione MUSICALE dell'allievo. (come direbbe qualcuno: trattasi di Scuola media non professionalizzante...)
Soprattutto mi domando se sia così difficile comprendere che lo studio della musica va coltivato seriamente sin da bambini, e quindi, se davvero si vogliono formare "musicisti e non musicofili" (come afferma la Gelmini e i suoi collaboratori) bisognerebbe insegnare la musica già dalla scuola primaria o addirittura prima.
E non mi si accusi di esagerazione se dico che sarebbe meglio se si partisse dalla scuola d'infanzia; prendiamo esempio dai giapponesi che mettono uno strumento in mano a bambini di 3/4 anni proprio per abituarli a fare musica!
I benefici sarebbero diversi: in primis la possibilità di formare un macro-ambiente consapevole di cosa sia il meraviglioso mondo della musica; poi ci sarebbe la possibilità di creare un substrato di ragazzi che arrivati alla fine della Scuola Secondaria di I° grado siano pronti ad una scelta consapevole, motivata da una "vera" passione e soprattutto PREPARATI (il che non guasta). Nel frattempo si darebbe ai frequentanti di questi "fantomatici" licei la possibilità di approfondire la conoscenza musicale teorico-pratica.
In ultimo, ci sarebbe l'opportunità per tanti musicisti diplomati in Conservatorio e disoccupati (occupati solo nella frequenza di corsi e corsetti parauniversitari, sempre nei conservatori) e che non hanno avuto (purtroppo per loro) la fortuna di svegliarsi "piccoli Mozart", di insegnare in queste strutture, magari istituendo lo studio della musica, nel percorso didattico, come materia obbligatoria non opzionale.
Ma basta con le critiche...ci sono dei lati positivi (???)
Il diploma del neonato Liceo Musicale-coreutico aprirà le porte di Conservatori e Accademie. Si parla di più sbocchi: attività solistica, orchestre, insegnamento, l'indirizzo musicale potrebbe formare le nuove figure professionali richieste dal mondo dei mass-media. Esistono per esempio varie opportunità nel settore della musica elettronica e digitale, in fortissima evoluzione. C'è spazio nel campo della prassi esecutiva-concertistica, grazie ai numerosi festival della musica antica e, infine qualcuno potrebbe anche accontentarsi di diventare un dilettante con la "D" maiuscola, come spesso capita all'estero. Pensiamo all'Austria e alla Germania, dove la domenica ci si incontra per fare un po' di sana musica.
Da noi invece si pensa solo ed esclusivamente alla partita o al Grande Fratello.
E già, da noi è tutta un'altra storia...

Damiano Franco

28 ottobre 2009

Musica e cervello



"Aveva perso il braccio destro nella prima guerra mondiale; ebbi molte occasioni di vedere come - ogni volta che mettevamo una diteggiatura di una nuova composizione - il suo moncherino partecipasse al processo. Più volte mi disse che avrei dovuto fidarmi delle sue scelte, perchè lui sentiva ancora ogni dito della mano destra. A volte dovevo starmene seduta in silenzio mentre lui chiudeva gli occhi e il suo moncherino continuava ad agitarsi. Questo quando ormai aveva perso il braccio da molti anni"
Lettera di Erna Otten, allieva del pianista viennese Paul Wittgenstein.

Non è la prima volta che sentiamo parlare di arti fantasma. Io ne sentii parlare per la prima volta in seguito ad un caso di amputazione di un arto inferiore occorso ad un mio parente, che, nonostante non avesse più la gamba, continuava ad avvertire dolore, cosa che ci lasciava perplessi, tanto da dubitare della salute mentale dello sfortunato.
Per molto tempo i medici hanno considerato gli arti fantasma come semplici allucinazioni psichiche, riconducibili alla perdita dell'arto.
In "Musicofilia" libro venuto alla luce nel 2007, scritto dal celebre neurologo Oliver Sacks, tra le tante cose, si parla anche del caso del pianista Wittgenstein, e delle ricerche condotte da Silas Weir Mitchell, neurologo che ebbe la "fortuna" (suona male considerando il contesto, ma per fortuna intendo un caso di opportunismo meramente scientifico) di ascoltare i racconti di molti soldati mutilati nell'ospedale "Stump hospital" di Filadelfia durante la guerra civile americana. Convinto dell'onnipresenza del cosiddetto "arto fantasma" in tutti gli amputati, Mitchell ne dimostrò la presenza reale spiegandola come "rappresentazione neurale dell'arto presente nel cervello". Quindi trattasi di rappresentazione neurale dipendente da integrità del cervello e del midollo spinale e delle porzioni superstiti di nervi sensori e motori dell'arto.
Il movimento del "moncherino" (cioè di quello che resta del braccio amputato) di cui parla Erna Otten nella lettera indirizzata ad Oliver Sacks, non è altro che la conseguenza dell'eccitamento provocato su queste aree neuro-sensoriali-motorie.
Tutta la tesi di Mitchell è stata confermata dalla moderna Neurofisiobiologia, che ha peraltro scoperto come, dopo l'amputazione, avvenga una vera e propria riorganizzazione a livello cerebrale con particolare "sensibilizzazione" dell'area corticale (da cui partono gli impulsi neuronali) riguardante il "moncherino".
La riorganizzazione a livello cerebrale è un fenomeno molto importante e degno di curiosità per i musicisti che vogliano comprendere un pò meglio il funzionamento del proprio cervello in materia di apprendimento.
Quante volte ci capita, quando ci accingiamo allo studio di un passaggio tecnico complesso al pianoforte, di scoprire che lo studio "mentale" è produttivo almeno quanto quello allo strumento? Il mio insegnante me lo diceva sempre: "chiudi il pianoforte e studia a tavolino!"...eh...ma che fatica però, soprattutto se consideriamo che, così facendo, viene meno quello di cui ha più bisogno un musicista: il sonoro...quelle vibrazioni che giungono al nostro orecchio e che noi chiamiamo musica. Non è difficile comprendere che il tavolino non potrà mai restituirci il piacere della musica, nè tanto meno una bella scrivania lucida.
Mi è piaciuto scoprire poi, durante la frequenza di un corso di Psicologia musicale, tenuto dalla Prof.Maria Antonietta Lamanna e soprattutto grazie all'utilizzo del testo "Insegnare un strumento - Riflessioni e proposte metodologiche sulla linearità/complessità - a cura di Anna Maria Freschi", che numerose ricerche in ambito neurologico stiano dando delle spiegazioni a quelle che erano solo "supposizioni".
Le ricerche della Neurofisiobiologia del movimento stanno dimostrando che l'apprendimento di un'abilità motoria complessa è costituita da 2 fasi.
1- Apprendimento veloce, momentaneo, simultaneo all'esercizio svolto sullo strumento.
2- Fase Post-training: cioè quella fase successiva all'esercizio in cui avviene una vera e propria riorganizzazione dell'Encefalo, che favorisce l'apprendimento, l'assimilazione a livello mentale e la stabilizzazione della rappresentazione motoria (riorganizzazioni e trasformazioni cerebrali dimostrate anche da Parsons e dalla PET - Tomografia ad emissione di positroni). Detto in parole semplici, stiamo parlando della fase (pare sia soprattutto nelle prime 6 ore post-esercizio) in cui il cervello si organizza e lavora in silenzio, fornendoci le capacità per affrontare meglio il passaggio studiato.
Tornando al libro di Sacks...
"Musicofilia" affronta in modo abbastanza esaustivo varie tematiche ruotanti attorno alla sfera psico-musicale. Sarebbe impossibile citare tutti i casi, gli esempi e le patologie descritte dall'autore.
Si parte da un vero e proprio caso di Musicofilia nella vicenda del dottor Cicoria colpito da un fulmine in una cabina telefonica. Dopo aver rischiato la morte, il protagonista del racconto si risveglia pervaso da un desiderio incredibile di fare musica, infatti incomincia a studiare pianoforte da autodidatta e comporre musica.
Riesce anche ad esibirsi con un discreto risultato.
Altrettanto interessanti, quanto inquietanti, sono i casi di pazienti (musicisti e non) affetti da Epilessia. Durante le crisi epilettiche "sentono" inconsciamente musica senza riuscire ad individuarne la fonte, e, passata la crisi epilettica, non riescono a ricordare la musica mentalmente ascoltata. Sacks parla di vere e proprie "Auree musicali associate all'attacco". Diversi invece risultano essere i casi di Epilessia musicogena, ossia di quelle crisi epilettiche indotte dalla musica come nel caso della signora N., che quasi casualmente individua la connessione tra le sue crisi con l'ascolto di musica napoletana. Si sottopone ad una Lobectomia Temporale parziale e la patologia viene debellata.
Poi si affrontano le associazioni mentali, cioè la capacità di "richiamare" la musica mentalmente, "a comando", e gli "ear worms" (tarli dell'orecchio) o meglio "brainworms" (tarli del cervello - perchè è nel cervello che il problema sussiste), ossia quei motivetti che restano impressi nella mente e di cui non ci si riesce proprio a liberare. Bellissimo l'esempio, riportato da Sacks, in cui una paziente è ossessionata per giorni dal motivo di "Povero Rigoletto" e quindi sente continuamente le "sette paia di coppie" che compongono il motivo.
Beh, non deve essere bello sentire tutto il giorno "la rà la rà la rà la rà la rà la rà la rà" !!! (bellissimo episodio, tra l'altro, dell'opera di Giuseppe Verdi).
- Allucinazioni musicali, ossia veri e propri circuiti musicali nella mente, ripetuti in maniera ossessiva, come degli Ipod nella mente (tutti esempi di allucinazioni neurologiche, e mai psicotiche). Si affrontano anche patologie quali la Amusia, ritmica come nel caso di Che Guevara , Distimbria e Simultagnosia. Quest'ultima patologia è provocata dalla mancanza di una connessione e integrazione tra i fattori riguardanti la percezione musicale, un qualcosa che può essere paragonato a ciò che avviene in casi di intossicazione da cannabis o allucinogeni, per cui una composizione musicale è percepita in modo strano, caotico, in cui tutti gli elementi musicali appaiono isolati. Sacks riporta l'esempio di Anthony Storr, che in Music and the Mind, ci racconta il suo ascolto sotto effetto di mescalina.

"Ero consapevole della qualità pulsante e vibrante dei suoni che mi arrivavano; del morso del'archetto sulla corda; di un appello diretto alle mie emozioni. L'apprezzamento della forma, invece era completamente compromesso. Ogni volta che un tema si ripeteva, lo accoglievo come una sorpresa. Presi singolarmente, i temi potevano rapirmi, ma il loro rapporto reciproco era scomparso"

Ed è l'esperienza che chiunque può aver vissuto, fumando uno spinello, bevendo un pò di più; accade che si focalizza l'attenzione su uno strumento (la batteria, la chitarra...) si colgono le minuziosità ma l'insieme si disintegra in mille frammenti, generando una percezione simile alla disarmonia, manca il senso accordale e tutta la musica viene percepita sotto forma di linee contrappuntistiche separate, e il senso del tempo è compromesso, per cui un brano di 3 minuti può sembrare che duri mezz'ora.

Ad Oliver Sacks io darei un bel 9 e mezzo. Bel libro, interessantissimo tanto per un medico quanto per un musicista.

a Giuseppe

D.F.

18 ottobre 2009

La Ciaccona di Bach : il fascino della trascrizione e della scoperta

A un dato momento Guido domandò il violino. Faceva a meno per quella sera dell’accompagnamento del piano, eseguendo la Chaconne. Ada gli porse il violino con un sorriso di ringraziamento. Egli non la guardò, ma guardò il violino come se avesse voluto segregarsi seco e con l’ispirazione. Poi si mise in mezzo al salotto volgendo la schiena a buona parte della piccola società, toccò lievemente le corde con l’arco per accordare e fece anche qualche arpeggio (…) Poi, contro di me si mise il grande Bach in persona. Giammai, né prima né poi, arrivai a sentire a quel modo la bellezza di quella musica nata su quelle quattro corde come un angelo di Michelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d’animo era nuovo per me e fu desso che m’indusse a guardare estatico in su, come a cosa novissima (…) Fui assaltato da quella musica che mi prese. Mi parve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza e mitigandoli con sorrisi e carezze (…) ma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in alto con passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendeva per quanto l’orecchio e il cuore l’avessero anticipato: proprio al suo posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato e non avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo prima e si sarebbe sovrapposto al canto, strozzandolo. Per Guido ciò non avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach e ciò era una vera inferiorità (…)

Così parlava Zeno Cosini, per mano di Svevo, in quel romanzo bellissimo che è “La coscienza di Zeno”. Il brano citato, suonato da Guido, è la Ciaccona, l’ultimo movimento che conclude la Partita n°2 (BWV 1004) per violino solo di Bach, assai conosciuto per bellezza e difficoltà.
Eccone la versione violinistica di Milstein:


Un brano così bello non poteva non subire trascrizioni e riadattamenti di ogni tipo e per vari strumenti o addirittura per orchestra (vi sconsiglio vivamente l'approccio alle versioni orchestrali più famose di Stokowski o Casella, entrambe di pessimo gusto); solo per pianoforte, infatti, vi sono varie versioni: Carl Debrois van Bruyck (1855); Ernst Pauer (1867); Joachim Raff (1865); C.Wilschau (1879); Count Geza Zichy (1880); Schubert F.L (1858); W.Lamping (1887); Brahms Johannes (1877-78); Hartman Hans (1892-3); Ferruccio Busoni (1897); Martinus Sievking (1914); Alexander Siloti (1924); Phillip isidore (1925); Emmanuel Moore (1936); Arthur Briskier (1954); Karl Hermann Pilney (1968); Lars Mortesen per clavicembalo nella tonalità di la minore in luogo di re minore (2002);
Le due più famose sono quelle di Brahms e di Busoni. La prima, in ordine cronologico, è quella di Johannes Brahms del 1877 per la sola mano sinistra differente da quella di Ferruccio Busoni di vent'anni seguente (1897). La mia preferita è indubbiamente quella di Busoni. Facente parte del terzo volume della "Bach-Busoni Ausgabe", la Ciaccona riflette in maniera esemplare l'idea di trascrizione del compositore italiano che, con intenti sicuramente incerti, ricollegabili in parte al desiderio di "ispirarsi al virtuosismo violinistico" ,(atteggiamento condiviso da tanti compositori tra cui Liszt, Schumann, Brahms, Rachmaninoff ed altri ancora) in parte all'intenzione di dimostrare fino a che punto il linguaggio e lo stile di Bach potessero esser elaborati su uno strumento così diverso dal violino, come il pianoforte per l'appunto, e il tutto realizzato con i mezzi espressivi a disposizione dell'epoca moderna.
Servendosi di tutte le risorse del pianoforte, esplorate e potenziate, per così dire, attraverso il pianismo di Franz Liszt, nel trascrivere la "Ciaccona", Busoni compie un atto eminentemente creativo rendendo evidenti e valorizzando l'armonia e la polifonia implicite nel testo originario.
A proposito di testo originario ci sarebbe da aprire una piccola parentesi: Ascoltavo, tempo fa, un cd intitolato "Morimur". Il cd propone l'esecuzione della Partita in Re minore BWV 1004 per violino solo contenente la Ciaccona più otto corali Bachiani. Christoph Poppen esegue la Partita utilizzando il violino barocco e L'Hilliard Ensemble esegue i corali alternandoli alle "danze" della Partita. E fin qui tutto abbastanza normale. La particolarità sta nell'ultima traccia del cd in cui si propone nuovamente la Ciaccona, sempre eseguita da Poppen al violino, ma simultaneamente all'esecuzione dei Corali cantati dall’Hilliard Ensemble nel tentativo, udite udite (!!!) di svelare i corali nascosti, messaggi e le presunte simbologie numerico-teologiche criptate nella partitura.
Devo essere sincero. Il primo ascolto mi ha provocato un certo fastidio per la mancanza, a mio parere, di omogeneità tra il suono violinistico di Poppen e gli interventi dell'Hilliard Ensemble.
Ho scoperto successivamente che questo CD dell’ECM New Series è il risultato di una ricerca di una professoressa di Düsseldorf, Helga Thoene, che si vanta di aver scoperto tutti i misteri nascosti dietro le note della musica bachiana e in questa incisione sembrerebbe rivelarli al mondo. Pare che messaggi cifrati, strutture enigmatiche, rimandi criptati - ai nomi dei Bach e ad una teologia ben cifrata e notata - già svelate nelle opere sacre, siano presenti anche nelle composizioni strumentali del compositore di Eisenach, come le partite per violino solo per esempio. Tutta la partitura sarebbe ricca di rimandi criptati alle Sacre Scritture, alla Trinità, a corali Pasquali, Resurrezione e speranza nella vita eterna. La celebre Ciaccona, secondo la prof.ssa Thoene sarebbe un vero e proprio "epitaffio musicale" scritto da Bach in onore della prima moglie Maria Barbara morta prematuramente. Quanto è vero? gli studi e le ricerche meritano sicuramente rispetto, ma i risultati non sembrano essere inconfutabili. Qualcuno li ha paragonati alle congetture "forzate" che gli archeologi amano fare sulle correlazioni tra le Piramidi dell'Antico Egitto e le costellazioni nel cielo.
Enigmi a parte, il risultato musicale può piacere o meno anche se, personalmente, acquista esclusivamente fascino proprio per le eventuali connessioni col trascendente, niente di più...

Tornando alla Ciaccona pianistica, il lavoro di Ferruccio Busoni trascrittore e ricreatore punta soprattutto a evidenziare le varianti armoniche, le possibili trasformazioni e alterazioni cromatiche del basso ostinato di "Ciaccona" ideato da Bach, e allo stesso tempo a sviluppare la polifonia dalla monodia, il tutto, mantenendo una certa unità stilistica nella composizione.
Dal lato squisitamente tecnico-pianistico, Busoni sfrutta tutta l'estensione della tastiera mirando alla maggiore varietà timbrico-coloristica e maggior evidenza alla struttura formale del pezzo. L'aspetto virtuosistico passa in secondo piano se paragonato alle spoglie tensioni melodiche dell'originale per violino, e l'ampliamento dei mezzi, così adattato agli scopi della trascrizione, non genera forzature; Perfino la grande esplorazione dei registri e soprattutto l'utilizzo sistematico di quello grave - elemento che fà della Ciaccona un brano molto al limite del piacere percettivo, se suonato male pestando nel registro grave - come fondamento strutturale della composizione, si giustificano dal fatto che il basso della "Ciaccona" , fondamento stesso delle variazioni seguenti, Bach non poteva indicarlo, nella maggior parte del tempo, senonchè in modo "accennato, velato" alla maniera di una allusione (anche per ovvi limiti di carattere prettamente strumentale del violino) mentre nel testo pianistico di Busoni esso si realizza pienamente in tutta la sua funzione di fondamento armonico e ovviamente in tutta la sua bellezza.
Busoni utilizza elementi compositivi anche nuovi (non solo materiale melodico di contorno e nuove voci che possano tornare utili nell'elaborazione contrappuntistica), non presenti nella partitura originale ma in linea con il suo sviluppo sul pianoforte, accentuando in tal modo il carattere di variazione estesa e continua di tutti i parametri della composizione (melodia, armonia, polifonia, ritmo, timbro), avvicinandosi molto all'esempio dato da J. Brahms, supremo maestro della variazione.
Per quel che riguarda le indicazioni agogiche e dinamiche, le indicazioni timbriche e le sonorità orchestrali espressamente richieste,( realizzate in molti casi anche da una diteggiatura accorta e sapientemente suggerita dai revisori) valgono non soltanto a interpretare ciò che in Bach è lasciato al gusto dell'esecutore (sappiamo che il testo originale è privo di indicazioni su scelta dei tempi e dinamiche), ma anche a costruire una composizione musicale molto equilibrata nonostante le sfumature e i contrasti messi in campo.

Il tema, che all'inizio si presenta alla mano sinistra (non necesseriamente però: io, ad esempio, l'ho spesso eseguito suddividendolo tra le due mani e affidando la dominante dell'accordo di Re minore alla mano destra per infondergli maggiore profondità, scelta soggettiva...ovvio...) forte, in tempo "Andante maestoso, ma non troppo lento", si ripresenta alla fine fortissimo, dopo uno sforzato sul re basso in ottava, pesante e "Largamente maestoso", in una disposizione pianistica tipica della scrittura di Busoni (cioè costituita da accordi a otto o nove suoni che colmano ampi spazi della tastiera) e assume quasi il significato di una vera e propria trasfigurazione del sentimento mistico che regna nel brano, resa desiderabile, attesa e potenziata dalle numerose variazioni che precedono il finale.

Tornando un attimo al discorso precedente sulle scoperte della professoressa Thoene, mi viene da dire che ci si accosta diversamente ad un brano di questo tipo, quando si scoprono connessioni così intime tra l'autore, la sua musica ed elementi extramusicali comunque legati alla vita del musicista, in questo caso appunto la memoria di Maria Barbara, indipendentemente dalla veridicità delle congetture dei musicologi.
In questi casi limitiamoci ad ascoltare la musica in religioso silenzio.

Damiano Franco

Vi propongo l'ascolto della "Ciaccona" di Bach-Busoni in una delle tante e diverse interpretazioni di Arturo Benedetti Michelangeli.



24 settembre 2009

Stabat mater




" (...) La musica di don Antonio entra nei nostri occhi, impregna le nostre teste, ci fa muovere le braccia. il gomito e il polso del braccio destro si snodano per manovrare l'archetto, le dita della mano sinistra si piegano sulle corde. Noi siamo attraversate dalla musica dei maschi (...) "

Questo passo è tratto dal libro "Stabat mater" di Tiziano Scarpa, scrittore veneziano che rende omaggio al grande compositore Antonio Vivaldi.
Il libro narra la storia di Cecilia, una delle tante ragazze cresciute nell'Ospedale della Pietà, orfanotrofio veneziano divenuto nel secolo scorso Ospedale civile di Venezia, in cui è nato lo stesso Scarpa, e in cui vi operò lo stesso Vivaldi dal 1704 in poi, insegnando violino e dirigendo l'orchestra composta esclusivamente dalle fanciulle che in quell'istituto venivano allevate.
Cecilia scrive lettere, di notte, alla madre che non ha mai conosciuto, interrogandosi sovente sul perchè essa abbia compiuto tale gesto, e trovando mille espedienti per giustificare il suo abbandono.
Lei è una violinista, dotata di un talento eccezionale - è interessante notare come la storia di Cecilia sia frutto dell'invenzione dell' autore, ma questo non preclude la possibilità che si sia realmente svolta storicamente , il che dona un certo fascino alla lettura - ed è pervasa da una nuova linfa vitale quando arriva all'ospedale don Antonio ( Vivaldi), il nuovo sacerdote "dal naso grosso e dai capelli color del rame".
Il resto del libro non lo anticipo, lasciando a chi fosse interessato, il piacere della lettura; quello che posso dire è che, in realtà, non accade moltissimo altro ancora...
Stabat mater è ( puntualmente segnalato dall'autore nella nota finale ) un libro anacronistico per molti aspetti. Non è vero, ad esempio, che l'Oratorio "Juditha triumphans" nè le "Quattro Stagioni" siano stati scritti nei primi anni dell'insegnamento di Vivaldi all'ospedale della Pietà, come il libro farebbe pensare. Vivaldi fu nominato maestro di violino all'Ospedale della Pietà nel 1704 e "Juditha triumphans" fu eseguito solo nel 1716, mentre "Il cimento dell' armonia e dell'invenzione", raccolta di 12 concerti op. 8 per violino archi e basso continuo, di cui fanno parte le celeberrime "Quattro Stagioni" - ossia i primi 4 concerti della raccolta - è del 1725.

Tutto ciò non toglie valore ad un libro ben scritto, ricco di spunti e suggestioni storico-musicali, anzi ne arricchisce una trama, come ho già detto, abbastanza misera ( per gran parte del libro si concretizza in un monologo di Cecilia ) ma che invita il lettore alla riflessione sulla condizione di una ragazza isolata dal mondo, che trova la sua libertà e ancor di più la sua identità con la musica; seppur inconsapevolmente, almeno all'esordio, la musica di don Antonio, sebbene la irriti per quei "giochetti da bambini" utilizzati dal compositore per attirare il pubblico (le composizioni cui si fa cenno nel libro - il "Juditha triumphans, le "Quattro Stagioni", la "Tempesta di mare" sono esempi concreti di musica "descrittiva" ), diventa una via di fuga per la violinista sedicenne, cioè un modo per evadere da una situazione divenuta insostenibile.

D.F.

28 agosto 2009

La Musica negli occhi



"Il significato dell'emozione musicale è un dono dell'immaginazione"
Samuel Taylor Coleridge


Camille Pissarro : Boulevard Montmartre, tempo di pioggia, pomeriggio - 1897



"Visto dall'alto...vedo un cielo grigio, dei grattacieli, una strada bagnata da una sottile pioggerellina, gli ombrelli aperti sui marciapiedi, la gente indaffarata nelle proprie cose, le urla lontane, le auto...
ed io che osservo da chissà dove.
Ad un tratto mi sembra di essere lì per strada.
Sono in mezzo agli altri, cammino un poco lentamente.
Mi guardo attorno e vedo che potrei essere ovunque, in un bar, a bere un buon caffè, 
a leggere il giornale,
a scegliere di andare...
Mi accendo un'altra sigaretta. Si, perchè no...
passeggio un pò lungo le vetrine, guardandole con aria indifferente, disinteressata,
cammino ancora, incrocio lo sguardo di gente sconosciuta.
Penso che potrei incontrarla. Sì. Lì per strada. Potremmo fare due passi.
E già parliamo e camminiamo ancora.
Corno inglese io. Nostalgico e meditabondo.
Pianoforte lei, vivace come le sue parole che sfuggono e scivolano via come biscrome, e intanto penso che potrei sprofondare nei suoi occhi, mentre chiudono le prime serrande e si accendono le luci della sera.
E ancora...potrei, potrei...potrei tutto, ma non ho più tempo.
Ormai spiove.
Mi accorgo che l'incanto si dissolve.
Quel trillo e quell'armonia schiarita mi rimandano alla realtà, e a me resta solo il ricordo di un'emozione vista con la mente."

Damiano Franco


Maurice Ravel : Concerto in Sol - II° movimento (Adagio assai)
Arturo Benedetti Michelangeli / Sergio Celibidache

21 agosto 2009

Quando il Reality-show invade la Musica...



“Il successo di Allevi? Mi offende” «Presuntuoso e mai originale» (Uto Ughi)

Il concerto Natalizio di Palazzo Madama, promosso dal Senato della Repubblica in cui Giovanni Allevi ha suonato e diretto sue composizioni ha provocato una vera "querelle" tra il violinista Uto Ughi e lo stesso pianista.
Vi riporto qui la famosa intervista rilasciata il 24 Dicembre dello scorso anno a Sandro Cappelletto per la Stampa da Uto Ughi:

«Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo (...) offeso come musicista (...) Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze».

Che cosa più la infastidisce di Allevi: la sua musica, le sue parole? «Le composizioni sono musicalmente risibili e questa modestia di risultati viene accompagnata da dichiarazioni che esaltano la presunta originalità dell’interprete. Se cita dei grandi pianisti del passato, lo fa per rimarcare che a differenza di loro lui è “anche” un compositore. Così offende le interpretazioni davvero grandi: lui è un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina. Questo deve essere chiaro».
Come definire la sua musica? «Un collage furbescamente messo insieme. Nulla di nuovo. Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla, come ha scritto Claudio Magris. Ma non bisogna stancarsi di ricordare che Beethoven non è Zucchero e Zucchero non è Beethoven. Ma Zucchero ha una personalità molto più riconoscibile di quella di Allevi (...) Mi fa molto male questo inquinamento della verità e del gusto. Trovo colpevole che le istituzioni dello Stato avvalorino un simile equivoco. Evidentemente i consulenti musicali del Senato della Repubblica sono persone di poco spessore. Tutto torna: è anche la modestia artistica e culturale di chi dirige alcuni dei nostri teatri d’opera, delle nostre associazioni musicali e di spettacolo a consentire lo spaventoso taglio alla cultura contenuto negli ultimi provvedimenti del governo. Interlocutori deboli rendono possibile ogni scempio, hanno armi spuntate per fronteggiarlo».

Che opinione ha di Allevi come esecutore? «In altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio».
Lui si ritiene un erede e un profondo innovatore della tradizione classica. «Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui».
Però è un fenomeno mediatico e commerciale assai rilevante. «Si tratta di un’esaltazione collettiva e parossistica dietro alla quale agisce evidentemente un forte investimento di marketing. Mi sorprende che giornali autorevoli gli concedano spazio, spesso in modo acritico. Anche Andrea Bocelli ha un grande successo, ma non è mai presuntuoso quando parla di sé. Da musicista, conosce i propri limiti».
Allevi è giovane. Non vuole offrirgli qualche consiglio? «Rifletta tre volte prima di parlare. Sia umile e prudente. Ma forse non è neppure il vero responsabile di quello che dice».

(Intervista realizzata da Sandro Cappelletto)




Alle dichiarazioni del celebre violinista di Busto Arsizio sono succedute le dichiarazioni di Giovanni Allevi che si è difeso a sua volta attaccando Ughi e la sua "casta" privilegiata, con parole dure e con quell'atteggiamento "estatico" tipico del tanto osannato talento, lasciando gran parte di noi sconcertati di fronte ad un volgare spettacolo. Insomma, è stata una delle ultime "perle" che il mondo dei mass-media poteva offrirci.
La colpa di tutto questo è, a mio avviso, della critica musicale. Giovanni Allevi lo assolvo. Soprattutto quando è seduto al pianoforte o quando cerca di dirigere l'orchestra. In fondo un artista non può essere ritenuto responsabile dell'ignoranza altrui. L'unica pecca del pianista è l'essersi collocato sul piedistallo della musica classica spesso con affermazioni bizzare, autoesaltanti e quasi "profetiche". Ha invaso un mondo che non era il suo e lo ha fatto con l'ingenuità (sua e dei suoi produttori) di chi non si accorge che intorno c'è un mondo (in questo caso quello musicale) in fermento e ormai stufo della pochezza culturale di questo paese.
La critica musicale dovrebbe svolgere compiti più vasti di ciò che normalmente svolge. Di certo non si concretizza esclusivamente nell'attività del professionista pagato da un qualsiasi giornale per scrivere opinioni sulla musica ascoltata. In una società, come quella odierna, che consuma avidamente e in maniera sempre maggiore musica, il dovere di una critica attenta dovrebbe essere principalmente la "divulgazione" (etimologicamente parlando essa dovrebbe fungere da mediazione tra il vulgus e il mondo degli artisti), ossia la diffusione di conoscenze e opinioni sulla musica. Divulgazione filtrata s'intende, non di tutto lo schifo che passa oggi dai mass-media!
Nell' epoca della carta stampata (e penso all'Ottocento), la critica musicale ha affrontato con impegno e spesso in modo assai pregevole il compito arduo di cui si sentiva il bisogno: educare all'ascolto. Obiettivo della critica musicale giornalistica era quello di dar vita ad un tessuto sociale nel quale la musica trovasse accoglienza adeguata alle aspettative dei suoi creatori. Principalmente soddisfaceva quel bisogno, sentito un po' da tutti, di rovesciare un sistema nel quale la musica, in quanto riservata all'élite aristocratica, si rivolgeva ad un pubblico assai limitato e composto esclusivamente da gente che aveva una notevole dimistichezza con la pratica ed il linguaggio musicale. Il risultato è stato tutt'altro che fallimentare.
Ma parliamo di un secolo fa... ne è passato di tempo.
Il Novecento, con l'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, non ha fatto altro che sgretolare ciò che era stato costruito precedentemente.
I mass-media hanno progressivamente abbandonato l'idea di innalzare il livello culturale della popolazione, adattandosi per lo più a divenire strumenti promozionali al servizio di un'industria culturale bisognosa di un mercato facilmente disponibile alle proprie strategie di vendita.
E infatti oggi, sui giornali, nelle trasmissioni radiofoniche e in tv, la critica musicale è stata letteralmente sostituita da un giornalismo musicale che solo apparentemente opera in autonomia, ma in realtà agisce a livello intrinseco, in maniera prevalentemente propagandistica rispetto all'oggetto di cui si occupa.
In Italia, ormai, la preferenza che i quotidiani dimostrano alla presentazione dell'evento anziché alla recensione, si instaura presumibilmente su questa linea di marketing della notizia. Dunque, per scelte redazionali la recensione scompare. Scompare anche perchè è d'impiccio, non interessa a nessuno e poi perchè gli stessi giornalisti non hanno l'autorevolezza per difendere e tutelare la propria indipendenza.
Quando invece la recensione c'è, è pressochè inutile. Nel mondo della musica classica, per esempio, è inefficace, in quanto si risolve solo ed esclusivamente nell'attenzione per il testo e l'interpretazione, quando servirebbe ben altro. Si fallisce già in partenza se ci si preoccupa solo di indagare un'opera o un qualsiasi evento musicale solo da un punto di vista estetico, ignorando di fatto l'aspetto culturale e addirittura etico che il fenomeno musicale comporta.(Non voglio parlare dell'incompetenza del critico recensore).
Come si fa a dimenticare il meccanismo perverso messo in moto dai mass-media in occasione della famosa stecca di Luciano Pavarotti nella stagione 92/93 del Teatro alla Scala di Milano?
Fu un episodio vergognoso. Tutti pronti a parlare di un misero errore provocato da una goccia di muco che impietosamente sporcò il suo Si naturale. Ed è l'esempio che avvalora il nostro ragionamento, ossia della "pochezza" di una critica musicale volta a diffondere "futili" notizie ( in questo caso per l'appunto sull'esecuzione del povero Pavarotti) con il solo scopo di vendere. Perchè è ovvio che nei giorni successivi all'episodio, tutte le migliori testate giornalistiche parlavano solo ed esclusivamente della stecca, mica del Don Carlos. Ma sì. E chi se ne frega del Don Carlos!
Tornando all'episodio Ughi-Allevi, la cosa che più mi disgusta è il fatto che un musicista come Uto Ughi si sia sostituito alla critica assente e ancor di più che lo abbia fatto in maniera così eclatante, assecondando, di fatto, il meccanismo del marketing pubblicitario della notizia. Perchè se c'è una cosa certa è che, di tutta la querelle, l'unica cosa che interessa ai più è il battibecco tra i due musicisti. Mi rattrista ma è così. A preoccuparsi del valore della musica di Allevi sono davvero in pochi cioè solo gli addetti ai lavori: compositori, pianisti, e qualche appassionato di musica. il resto degli italiani ha seguito la vicenda, in prima pagina sui giornali, nei tg, sul web, con quella stupida curiosità di chi guarda un reality-show. Ovviamente i giornalisti sono in prima fila in questa grande fetta di italiani. E il motivo lo abbiamo già detto. Sicuramente non mi meraviglierei se in qualche trasmissione televisiva comparissero Ughi e Allevi seduti l'uno di fronte all'altro. Sai che audience!
L'altro nodo di Gordio, troppo spesso taciuto, però è un altro; è l'errata formazione del macro-ambiente (grande pubblico), ossia del fruitore di musica. La carenza di un'adeguata educazione musicale nell'istruzione italiana non ha sicuramente contribuito a quel processo di sensibilizzazione verso la musica cosiddetta "colta", quindi non c'è da stupirsi se oggi si scambia Giovanni Allevi per un "grande compositore di musica classica contemporanea" ( come lui stesso si definisce peraltro). Io non mi stupisco affatto.
Ci rido su.

Damiano Franco

19 agosto 2009

La Sesta : Beethoven e il suo mondo più intimo

Questo post lo dedico a me stesso.
L'ho pensato in un pomeriggio al sole, nella tranquillità della campagna, tutto preso dall'ascolto di una delle pagine musicali più belle e commoventi che siano mai state scritte nella storia della musica: la sesta sinfonia in fa maggiore "Pastorale".
Per questa sinfonia come per tutte le altre opere del Beethoven, non basterebbe un blog intero, ma cercherò di parlarne imponendomi dei limiti, sperando di non annoiarvi.
Vi dirò la verità. Io amo la Pastorale. La ritengo tra le composizioni più rappresentative di Beethoven ma non del Beethoven musicista bensì dell'uomo-Beethoven. La Nona sinfonia, con il celeberrimo Inno alla Gioia su versi di Schiller, celebra il "patto" di fratellanza, di gioia, di solidarietà tra gli uomini. Ma la sesta sinfonia ha qualcosa di più incredibilmente intimo. E' il suo "diario" in cui scrive e parla, utilizzando il linguaggio universale; rappresenta il patto con la Natura che è, in prima analisi, indubbiamente crudele nei suoi confronti come spesso accade agli uomini, ma sempre e inequivocabilmente Madre. Ed è infatti nella Natura che Beethoven si rifugia per ritrovare se stesso; è alla Natura che Beethoven parla, ed è in essa che ripone le sue speranze più intime. Qualche sera fà rileggevo alcune sue lettere, e questa mi è rimasta impressa, soprattutto in alcuni passi in cui emerge la passione di Beethoven per la vita di campagna.
La lettera è indirizzata a Therese Malfatti, nobildonna e amica "intima" del compositore.

Vienna, maggio 1810

(...) Io conduco una vita molto solitaria e tranquilla. Ci sono sì, qua e là, delle luci che vorrebbero svegliarmi, ma da quando tutti Loro sono andati via da Vienna, io sento in me un vuoto che non può essere colmato e che neppure la mia arte, che di solito mi è fedele, riesce a farmi dimenticare (...) Quanto è stata fortunata Lei, che è potuta andare in campagna già così presto.
Io non potrò godere tale beatitudine sino al giorno 8, ma già me ne rallegro come un bambino solo a pensarci. Come sarò lieto di potermene andare in giro per un pò fra siepi e boschi, fra alberi, erbe e rocce. Non c'è nessuno che possa amare la campagna quanto me. Dai boschi, dagli alberi, dalle rocce sorge l'eco che l'uomo desidera udire.

Ludwig van Beethoven

E sì. Prima ho scritto Natura crudele.
La sordità, i cui primi sintomi egli avvertì attorno al 1795, divenne definitiva nel 1818 (è questo l'anno in cui incominciò ad utilizzare i quaderni di conversazione, attraverso i quali comunicava con i suoi interlocutori). Nel testamento di Heiligenstadt, (6 ottobre 1802) egli mostra già di aver accettato, dopo mille sofferenze interiori, il suo triste destino. La sua profonda solitudine, è giustificata dalla necessità di rinchiudersi nel suo mondo, non perchè egli fosse un burbero,( quante volte abbiamo letto su pessime biografie della sua vita questa stupidaggine!!) ma perchè non riusciva a svelare ufficialmente la sua condizione di infermità ai suoi simili.
Fu il paradosso più grande per un musicista d'eccellenza.

La sinfonia n°6 in fa maggiore "Pastorale"op.68, di cui suggerisco l'ascolto, fu scritta nel 1808, quasi parallelamente alla Quinta, in un arco di tempo che va dall'estate 1807 all'estate 1808.
Le due sinfonie differiscono molto spiritualmente. Mentre la Quinta rappresenta simbolicamente l'azione e la lotta dell'uomo, la Sesta invece incarna a pieno l'ideale della vita contemplativa ed è l'eccezione nella produzione sinfonica del compositore.
Non ho postato tutta la sinfonia, ma solo una parte. La mia preferita.

Ultimo movimento: "Canto dei pastori. Sentimento di gioia e di gratitudine dopo la tempesta"

Beethoven traduce in musica i sentimenti dei pastori. Il primo tema, su cui si basa quasi tutto il movimento, deriva da un motivetto semplice, simile ai "ranz des vaches" o "Kuhreihen"(canto dei vaccai- cioè un classico canto di pastori in cui non è previsto accompagnamento).
Il video parte dalla presentazione del primo tema completo affidato ai primi violini, la tonalità è quella tipicamente "pastorale" di fa maggiore, imitato dai secondi, mentre i fiati ribattono fitte serie di terze. Subito dopo tutta l'orchestra sarà coinvolta in questo canto di lode al Creatore.
(ricordiamo che Beethoven è un Panteista: natura/creato=immagine e somiglianza del Creatore)
Appena dopo si odono reminiscenze tematiche del primo movimento (combinazione del ritmo in crome-semicrome) e della scena al ruscello (nel disegno degli archi).
(Quello di riinviare ai precedenti movimenti della Sinfonia è un atto compositivo inaugurato da Beethoven, non a caso considerato il precursore della Sinfonia ciclica). Dopo di che abbiamo un piccolo episodio in cui si alternano ondate sonore basate su accordi in "fortissimo".
Dopo la ricomparsa del primo tema affidato ai fiati, ecco il ritorno dell'inno ( 1:44"), sempre ai primi violini ma stavolta accompagnati da un lieve movimento ascendente dei secondi violini.
Una nuova melodia, fervida ed estatica allo stesso tempo, appare nei registri dei clarinetti e fagotti (prontamente inquadrati nel video). Successivamente, il primo tema riappare in minore (2:42"), gli intervalli sono modificati.Potremmo dire che è l'unico esempio di "sviluppo" di tutto il movimento; l'intenzione di Beethoven è, probabilmente, quella di creare un'analogia tra la forma adottata e il canto pastorale che non rispetta alcuna imposizione strutturale (quindi carenza di sviluppo, cosa sicuramente anomala considerando che stiamo parlando di Beethoven, ma questo si giustifica proprio per quello che dicevo poc'anzi, cioè che questa sinfonia differisce spiritualmnete dalle altre e di conseguenza non può adottare un procedimento compositivo come lo sviluppo che in Beethoven assume sempre il significato di "campo di battaglia").
Infine, il movimento assume sempre più le caratteristiche di un tema e variazioni. Il tema variato sarà ripreso dai violini (3:23"), poi dai violoncelli (3.52"), mentre l'orchestra esplode in accordi che sembrano voler suggerire tutta la potenza e l'incanto di una Natura ormai "doma", pacifica, dopo le inquietudini del temporale (4°movimento) e che si avvia al tramonto.
Buon ascolto.

Damiano Franco


Herbert von Karajan dirige l'Orchestra Filarmonica di Berlino.
5° movimento: Allegretto

9 agosto 2009

Segno, suono, storia ed emozione...

"Lei parte da false premesse se pensa che sia mia intenzione di modernizzare le opere. Al contrario, ripulendole dalla polvere della tradizione io tento di restaurare la loro giovinezza, di presentarle come suonavano per il pubblico al momento in cui per la prima volta sprizzarono dalla mente e dalla penna del compositore.
La Patetica era una sonata quasi rivoluzionaria ai suoi giorni e deve suonare rivoluzionaria. Non si mette mai abbastanza passione nell'Appassionata, che fu nella sua epoca il culmine dell'espressione della passione. Quando suono Beethoven tento di raggiungere la libertà, l'energia nervosa e l'umanità che sono i segni peculiari delle sue composizioni, in contrasto con quelle dei predecessori.
Rifacendomi al carattere dell'uomo Beethoven e a ciò che si dice del suo modo di suonare, mi sono costruito un ideale che è stato a torto definito moderno e che in realtà non è altro che vita. Faccio lo stesso con Liszt; e stranamente molti mi approvano in questo caso mentre mi condannano nell'altro"

Busoni suona Liszt - Studio Trascendentale n°5 "Feux Follets"


Queste sono le parole scritte nel 1902 da Ferruccio Busoni a Marcel Rémy. Così si difende dagli attacchi della critica causati dalle sue esecuzioni pianistiche. Purtroppo di incisioni discografiche del Busoni non ce ne restano molte, ma quei pochi dischi, le sue revisioni e le polemiche che esse suscitarono, testimoniano una tendenza tipica del pianista italiano, ossia quella di "riscrivere" pianisticamente la composizione. E' noto che egli usasse diverse strategie per intervenire sulla percezione dell'ascoltatore avvalendosi, per esempio, del pedale di risonanza, agendo sul tocco, sul timbro, sviluppando una vera e propria tecnica del suono che sarà seguita successivamente da V.Horowitz.
Karl Nef diceva di lui: " Busoni è un Creso nelle sfumature del tocco" e lui stesso affermava: "e il pianoforte possiede qualcosa che è esclusivamente suo, un mezzo inimitabile, una fotografia del cielo, un raggio della luce lunare: il pedale. Gli effetti del pedale sono ancora lungi dall'essere esauriti, perché sono rimasti tuttora schiavi di una teoria armonica gretta e irragionevole, si tratta il pedale come se si volesse ridurre l'aria e l'acqua a forme geometriche" ( Apprezzare il pianoforte, 1910).
Motivo di questa ricerca del suono era il desiderio di riprodurre l'effetto originale della musica non come era stata percepita al tempo dell'autore, ma come era stata psichicamente colta dagli ascoltatori del passato. Nell'epoca della codificazione della tradizione, e della ricerca filologica, Busoni provava a conservare il concetto lisztiano di perpetua riscoperta del valore emotivo originario della musica, sottraendolo alla storicizzazione; tentativo che non poteva non restare isolato e non apparire provocatorio, in un'epoca che cominciava addirittura, a riadottare gli strumenti antichi e a ristudiare trattati di esecuzione del passato, e che puntava al corretto restauro filologico.
Come ha ben notato Piero Rattalino nella sua "Storia del pianoforte", la conciliazione tra le aspirazioni di Busoni e lo storicismo di Backhaus e Schnabel avviene grazie a Fischer, sommo pianista la cui grandezza sta proprio nell'aver saputo rispettare le ragioni della storia (basti pensare al fatto che egli utilizzava edizioni dei testi classici filologicamente correttissime), donando al tempo stesso nuova linfa alle composizioni, vitalità, e individualismo interpretativo mirato alla riscoperta psichica dell'artista creatore.
Ecco una sintesi del suo pensiero sull'esecuzione di Beethoven:
"Sbaglierò forse, ma ho questa impressione: siamo diventati troppo raffinati, troppo colti (...) Distinguiamo le sottili differenze che corrono nella forma e nel colore delle diverse epoche: quando Beethoven sentiva ancora, e dopo che divenne sordo; sappiamo tutto questo, ma i vulcani, che emergendo facevano soffrire Beethoven, i soli che lo illuminavano, le grida che gli spezzavano il cuore, non ci scuotono. E qui stanno le fonti dell'avvenire: dimenticate il pianoforte, lo stile, l'educazione, la scienza, e vivete Beethoven, suonate l'organo, il violino, fischiate, suonate il timpano, cantate di nuovo sul pianoforte, suscitate nuovamente il mondo intero dal tenebroso regno delle note scritte per portarlo alla luce; eseguite, se vi pare, la Sonata al chiaro di luna come il singhiozzare di un morente, e orchestrate la Maria funebre dell'opera 26 nel modo più moderno, fate sorgere oggi, come per incanto, dalla Sonata a Waldestein un idillio con la Natura, per farne domani una lotta tra voi e il mondo, e il giorno appresso suonate in piena forma la musica pura, quando vi sarete così agguerriti da dilettarvi alle forme; c'è tutto qui, allora metterete le ali che porteranno voi e gli altri nel regno della fantasia e potrete contemplare la dimora dove stava lo spirito di Beethoven. Trarrete ancora godimento da questo magnifico pianoforte che possiede oggi tutta la gamma di colore dell'orchestra e domani emette suoni che provengono da altre sfere!"
(Edwin Fischer)

Ehm...parole vere...lui ci è riuscito. Ascoltate il "suo" Concerto n.5 di Beethoven e il Concerto n.2 di Brahms, sotto la direzione di Wilhelm Furtwangler, e mi darete ragione. Ne sono certo.
Altra questione, a mio avviso non trascurabile, è quella legata alla divergenza tra le intenzioni del compositore e quelle dell'interprete. In fondo, diciamocelo in tutta franchezza, quante volte, nell'eseguire un brano, ci capita di dover scegliere tra ciò che è scritto e ciò che vorremmo fare??
Sentirsi "in gabbia" quando si fà musica non è proprio una sensazione bellissima.
Lo stesso Gould, in un'intervista concessa a Dennis Braithwaite per il quotidiano "Star of Toronto" il 28 marzo 1959, interrogato sull'increscioso problema dell'interpretazione affermava:
"Sono ben pochi i fortunati che possono dire che il loro modo di sentire la musica è lo stesso di quello del compositore. Ma a volte mi domando perchè ci preoccupiamo così tanto di una pretesa fedeltà alla tradizione della generazione del compositore piuttosto che a quella dell'interprete. Perchè, ad esempio sforzarsi di suonare Beethoven come si presuppone che Beethoven abbia suonato? Schnabel ci ha provato. Malgrado tutta la mia ammirazione per Schnabel mi sembra un'assurdità, soprattutto perché non prendeva in considerazione la differenza di strumento. Lui usava il pedale nel modo in cui alcuni studiosi affermavano che Beethoven volesse, ma senza rendersi conto che questa tecnica del pedale acquistava tutt'altro senso su uno strumento contemporaneo. Sono sicuro che Mozart molto spesso non approverebbe quello che faccio della sua musica. L'interprete deve avere una sua fede, anche cieca in ciò che fà; deve essere convinto di poter scoprire possibilità d'interpretazione che il compositore non avrebbe mai considerato. E' del tutto possibile. Esistono al giorno d'oggi esempi di compositori contemporanei, di cui mi permetta di tacere i nomi, che sono i peggiori interpreti della propria musica.
Sono sicuro che ciò sia dovuto al fatto che sentono interiormente tali e tante cose nella propria musica da non rendersi conto di non riuscire ad esprimerle. Non sanno quel che deve fare un interprete per dare vita a queste cose"
(Glenn Gould)

Glenn Gould suona Beethoven - Sonata op.31 n°2 


Il problema della esecuzione-percezione musicale, secondo me, va ricercato in un aspetto essenziale della questione: la musica, l'arte astratta per eccellenza, è la più condizionata, ossia la più legata alla realtà fenomenica attraverso cui si manifesta.
Il senso di un'immagine, il significato di una parola il cui contenuto lessicale è stato modificato nel tempo si possono in qualche modo ricostruire mediante atti intellettuali. Non è così per la musica. "Sentire" un brano come suonava una volta è impossibile, e non possiamo di certo comprendere una frase, un discorso, che faceva leva su un accordo, una "tensione" che era tale allora, ma che oggi non riconosciamo più ( o non nello stesso modo). Si dovrebbe "ricostruire" una verginità dell'orecchio, ma questo è impossibile. Più la composizione è antica e più l'emozione legata al fenomeno acustico muta. Si affievolisce. Consoliamoci dicendo che ciò che abbiamo perso di "originale" in una sonata di Beethoven è nulla se paragonato a quello che abbiamo perso in composizioni di mille anni fà.
Sarebbe bello "sentire" le terze non come consonanze ma come dissonanze vietate!!!
Filologia dunque?..No grazie, o meglio...ben venga se intesa solo ed esclusivamente come ricerca storico-culturale, ma ben poco condivide con la musica.

Damiano Franco


8 agosto 2009

La Musica: Arte delle Muse

Fin dai tempi più antichi la musica venne considerata come l'arte per eccellenza. Lo sta a dimostrare l'origine del suo nome "musica" (dal greco musiké), cioè "arte delle Muse".
Infatti, i Greci, mentre attribuivano ognuna delle altre arti a una sola delle nove figlie di Zeus e Mnemosine, la musica non soltanto veniva riferita a due (Euterpe, Musa dell'auletica, cioè dell'arte di suonare strumenti a fiato, e della lirica e Polinnia, inventrice della lira e Musa dei sacri inni), ma faceva capo alle Muse in generale. L'Olimpo era pieno di tutori e inventori di musica: Pan con la pastorale syrinx ( o flauto di Pan); Dioniso, cantautore d'inebrianti ditirambi; Apollo citaredo, virtuoso della cetra e guida delle Muse, vincitore del sileno Marsia il quale aveva osato sfidarlo col flauto, inventato da Atena e poi buttato via perché nel suonarlo le si deformavano le guance. Con la cetra Apollo consola sè stesso durante il suo servaggio presso Admeto, placa le forze avverse della natura, incanta le bestie. Il suo seguace Orfeo, oltre agli animali, ammalia e muove a pietà Cerbero e Plutone nel tentativo di far tornare Euridice dagli inferi.
Per resistere al canto delle Sirene che trascina i navigatori nei gorghi marini, Ulisse si fa legare all'albero della sua nave. Nei mitici greci la musica riesce non solo a commuovere dei, semidei, uomini e animali: può muovere persino i sassi: con l'aiuto della lira d'oro donata da Ermete, i gemelli Anfione e Zeto costruiscono le mura di Tebe. Per converso le bibliche trombe di Giosuè fanno crollare le mura di Gerico.
Dati questi poteri attribuiti alla musica, i filosofi e i legislatori greci le assegnavano un posto determinante nell'educazione e negli ordinamenti civili (ah..bei tempi!!) .
A ognuno dei modi del sistema musicale greco veniva attribuito un particolare ethos, cioè un carattere specifico definito non solo da precise virtù espressive, ma anche capace d'influire sul comportamento umano. Nelle Leggi, nel Convito e soprattutto nella Repubblica, Platone delinea il ruolo che la musica dovrebbe svolgere nello Stato ideale. Egli ammette solo due "modi": il frigio, ritenuto idoneo a suscitare entusiasmo misurato e a indurre alla non violenza, e il dorico, "severo, grave, virile", adatto per intonare canti tali da incoraggiare nobili imprese (belliche soprattutto).

Anakrousis. Frammento del primo stasimo (canto corale) della tragedia Oreste di Euripide, (V sec. a.C.) con notazione vocale e interpolazione strumentali.


Il ritmo, è quello proprio di canti di intensa e veemente drammaticità, con alternanza di piedi ternari e quinari e che, per le sue spezzettature e per la forza degli accenti, ha appunto un ethos di grande agitazione. Autore: Anonimo (Euripide?)

Ascoltiamo un esempio di ciò che poteva essere all'epoca di Euripide:


Il brano corale euripideo è l'esempio antico più cospicuo che possediamo di una musica cromatica.
A parte il fatto che delle musiche dall'antichità greca ci sono pervenuti non più di una ventina di brani ( in parte frammentari e d'incerta attribuzione), l'ethos e il potere espressivo di tali musiche risultano notevolmente affievoliti e comunque non direttamente afferrabili.
Bisogna considerare però che anche oggi la musica serba una sua efficacia suggestiva com'è dimostrato, tra l'altro dal fatto che la pubblicità che ci inonda a getto continuo dai mezzi di comunicazione di massa ricorre quasi sempre a supporti musicali, anche se spesso banali. (la cosa triste è che la musica, per il grande pubblico è solo "supporto"..supporto nella pubblicità, supporto nei film, supporto quando si è in viaggio e si ascolta l'autoradio, supporto nel pub...ecc..).
Platone assegnava invece alla musica compiti altissimi: doveva non solo contribuire a mantenere l'ordine civile e sociale, ma anche a reggere lo Stato e l'intero cosmo. Nel Timeo, Platone racconta di come Dio procedette alla formazione dell' "anima del mondo" servendosi degli intervalli musicali caratterizzanti il modo dorico, così come li aveva calcolati Pitagora. Agli intervalli proporzionati tra le sette note vengono fatte corrispondere anche le distanze tra le sette sfere celesti e le orbite dei pianeti.
Un'eco di questa teoria dell'armonia delle sfere si troverà ancora nel trattato su L'armonia del mondo che G.Keplero pubblicherà nel 1619. Nelle tradizioni mitiche di vari popoli primitivi, ma pure Cinesi, Indiani ed Egizi, il suono appare come originario fattore che scatena la creazione del mondo.
Il Verbo che San Giovanni pone al principio di ogni cosa, nella cosmogonia indiana viene cantato. Prayapati, il dio della creazione, s'identifica con una melodia fatta esplodere dall'immagine rombo del primo tuono. Le sue parti distintive diventano cielo, atmosfera, terra. Vien da pensare alla teoria del big-bang" sostenuta oggi da alcuni dei maggiori scienziati viventi secondo i quali il nostro universo avrebbe avuto origine circa 20 miliardi di anni fà da un'immensa esplosione che avrebbe colmato lo spazio (precedentemente vuoto) di ogni specie di particelle materiali.
Sarebbero echi di quel "grande suono" che diede inizio al mondo le radiazioni a microonde che giungono da ogni parte del cosmo e che furono scoperte nel 1964 da A.Penzias e R.Wilson.
alla mitica musica coelestis che, secondo i teorici medievali, risuonerebbe dai cieli, a quella musica che reggerebbe il mondo (musica mundana) che "nasce nel cuore dell'uomo" come scrive Lih Pu-wei (239 a.C.) parlando di simboliche leggende cinesi sulle origini dei generi musicali e delle scale. Lungo tutta la storia della civiltà le concezioni e le definizioni della musica oscillano tra un mistico spiritualismo metafisico e un umanesimo volto alla diretta espressione del sentire soggettivo.
San Basilio considera la musica "opera degli angeli", San Gregorio Magno viene rappresentato nell'atto di scrivere musica sotto il dettato dello Spirito santo: una bianca colomba gli parla all'orecchio. N.Cusano, echeggiando Platone, afferma che Dio si sarebbe valso della musica nel creare il mondo al fine di stabilire tra i vari elementi del rapporti armonici tali che "la macchina del mondo non possa perire". Non per nulla, la musica faceva parte del medievale Quadrivium delle arti liberali dette matematiche, insieme all'aritmetica, alla geometria e all'astronomia.
Ai primi del Settecento G.W.Leibnitz definisce la musica "exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerari animi" (un'occulta pratica di aritmetica nella quale l'animo adopera i numeri senza saperlo). Schopenhauer parafraserà questa definizione: "Musica est exercitium metaphysicae occultum nescientis se philosophari animi" cioè "La musica è un'occulta pratica di metafisica nella quale l'anima fà filosofia senza saperlo" (cosa c'è di più giusto delle parole del filosofo tedesco!!).
Per converso nelle correnti idealistiche del Cinquecento e del Seicento prevale la concezione irrazionale della musica come espressione della soggettività affettiva.
G.Bruno pone l'accento sul potere della musica di muovere gli affetti. B.Spinoza insorge contro l'idea di una musica coelestis considerandola come risultante da un errato concetto antropomorfico di Dio:" Ciò che eccita l'udito vien chiamato suono, rumore, armonia; quest'ultimo ha incantato talmente gli uomini che essi pensarono che pure Dio si dilettasse con l'armonia..."
Anche i filosofi francesi, da R.Cartesio a J.J. Rousseau, propendono in genere verso un'interpretazione soggettiva della musica.
Considerandola eccessivamente soggettiva e irrazionale, gli esponenti principali del classicismo razionalista, da N.Boileau a J.B.Boussuet e F.Fénélon, dimostrano una "sfiducia totale nella musica come arte autonoma". Sono note le definizioni dell'opera date da C.Saint-Evremond: "l'opéra c'est une magnifique sottise"( l'opera è una magnifica scemenza) , e l'ironica domanda di B.Fontanelle: "Sonate, que me veux-tu?" ( Che vuoi da me, sonata?)
Nell'Ottocento romantico prevalgono concezioni della musica del tipo di quella standardizzata che la definisce come "l'arte di esprimere sentimenti per mezzo di suoni".
Contro simili concezioni contenutistiche indirizza la sua polemica E.Hanslick, l'accanito oppositore di R.Wagner.
Per Hanslick la musica non è altro che una successione di "forme sonore in movimento". Quest'affermazione riecheggierà negli anni venti (del 900,s' intende) nella boutade che I.Strawinskij lanciò quando agiva come capofila della reazione neo-classica contro l'espressionismo: "la musica è troppo stupida per esprimere qualche cosa". Hanslick spiegò il suo atteggiamento asserendo che "solo negando il contenuto sentimentale della musica se ne può salvare il contenuto spirituale". Strawinskij, da parte sua, riconoscendo l'esagerazione polemica del suo irriverente motto di spirito, rivendica alla musica il compito di "promuovere una comunione, un'unione dell'uomo col suo prossimo e con l'Essere", oltre a quello di organizzare, di "ordinare il tempo", di riflettere il "Grande Ordine universale". Hanslick è stato uno dei primi a constatare che la stagionatura, l'invecchiamento della musica sono assai più rapide che nelle altre arti. Nel suo saggio "Il bello Musicale" si legge: "non c'è nessun'arte che mette fuori uso tante forme come la musica...". Questa constatazione si basa sull'osservazione della "straordinaria diversità dell'effetto che molte composizioni di Mozart, Beethoven e Weber producevano sull'animo degli ascoltatori dell'epoca in contrapposto ad oggi. Quante opere di Mozart si giudicarono al loro tempo come la musica più appassionata, più ardente e più audace che potesse esistere, come il massimo che si potesse raggiungere nella rappresentazione di stati d'animo! Al senso di serenità e di puro benessere di Haydn si contrapponeva il prorompere di violente passioni, di gravissime lotte, di amari e acuti dolori nella musica di Mozart. Venti anni dopo si faceva esattamente la medesima distinzione fra Mozart e Beethoven. Il posto di Mozart come rappresentante della passione viva e travolgente fu occupato da Beethoven, e Mozart fu promosso all'olimpica classicità di Haydn".

Roman Vlad (integrato da me medesimo)