"Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero" (Oscar Wilde)

9 agosto 2009

Segno, suono, storia ed emozione...

"Lei parte da false premesse se pensa che sia mia intenzione di modernizzare le opere. Al contrario, ripulendole dalla polvere della tradizione io tento di restaurare la loro giovinezza, di presentarle come suonavano per il pubblico al momento in cui per la prima volta sprizzarono dalla mente e dalla penna del compositore.
La Patetica era una sonata quasi rivoluzionaria ai suoi giorni e deve suonare rivoluzionaria. Non si mette mai abbastanza passione nell'Appassionata, che fu nella sua epoca il culmine dell'espressione della passione. Quando suono Beethoven tento di raggiungere la libertà, l'energia nervosa e l'umanità che sono i segni peculiari delle sue composizioni, in contrasto con quelle dei predecessori.
Rifacendomi al carattere dell'uomo Beethoven e a ciò che si dice del suo modo di suonare, mi sono costruito un ideale che è stato a torto definito moderno e che in realtà non è altro che vita. Faccio lo stesso con Liszt; e stranamente molti mi approvano in questo caso mentre mi condannano nell'altro"

Busoni suona Liszt - Studio Trascendentale n°5 "Feux Follets"


Queste sono le parole scritte nel 1902 da Ferruccio Busoni a Marcel Rémy. Così si difende dagli attacchi della critica causati dalle sue esecuzioni pianistiche. Purtroppo di incisioni discografiche del Busoni non ce ne restano molte, ma quei pochi dischi, le sue revisioni e le polemiche che esse suscitarono, testimoniano una tendenza tipica del pianista italiano, ossia quella di "riscrivere" pianisticamente la composizione. E' noto che egli usasse diverse strategie per intervenire sulla percezione dell'ascoltatore avvalendosi, per esempio, del pedale di risonanza, agendo sul tocco, sul timbro, sviluppando una vera e propria tecnica del suono che sarà seguita successivamente da V.Horowitz.
Karl Nef diceva di lui: " Busoni è un Creso nelle sfumature del tocco" e lui stesso affermava: "e il pianoforte possiede qualcosa che è esclusivamente suo, un mezzo inimitabile, una fotografia del cielo, un raggio della luce lunare: il pedale. Gli effetti del pedale sono ancora lungi dall'essere esauriti, perché sono rimasti tuttora schiavi di una teoria armonica gretta e irragionevole, si tratta il pedale come se si volesse ridurre l'aria e l'acqua a forme geometriche" ( Apprezzare il pianoforte, 1910).
Motivo di questa ricerca del suono era il desiderio di riprodurre l'effetto originale della musica non come era stata percepita al tempo dell'autore, ma come era stata psichicamente colta dagli ascoltatori del passato. Nell'epoca della codificazione della tradizione, e della ricerca filologica, Busoni provava a conservare il concetto lisztiano di perpetua riscoperta del valore emotivo originario della musica, sottraendolo alla storicizzazione; tentativo che non poteva non restare isolato e non apparire provocatorio, in un'epoca che cominciava addirittura, a riadottare gli strumenti antichi e a ristudiare trattati di esecuzione del passato, e che puntava al corretto restauro filologico.
Come ha ben notato Piero Rattalino nella sua "Storia del pianoforte", la conciliazione tra le aspirazioni di Busoni e lo storicismo di Backhaus e Schnabel avviene grazie a Fischer, sommo pianista la cui grandezza sta proprio nell'aver saputo rispettare le ragioni della storia (basti pensare al fatto che egli utilizzava edizioni dei testi classici filologicamente correttissime), donando al tempo stesso nuova linfa alle composizioni, vitalità, e individualismo interpretativo mirato alla riscoperta psichica dell'artista creatore.
Ecco una sintesi del suo pensiero sull'esecuzione di Beethoven:
"Sbaglierò forse, ma ho questa impressione: siamo diventati troppo raffinati, troppo colti (...) Distinguiamo le sottili differenze che corrono nella forma e nel colore delle diverse epoche: quando Beethoven sentiva ancora, e dopo che divenne sordo; sappiamo tutto questo, ma i vulcani, che emergendo facevano soffrire Beethoven, i soli che lo illuminavano, le grida che gli spezzavano il cuore, non ci scuotono. E qui stanno le fonti dell'avvenire: dimenticate il pianoforte, lo stile, l'educazione, la scienza, e vivete Beethoven, suonate l'organo, il violino, fischiate, suonate il timpano, cantate di nuovo sul pianoforte, suscitate nuovamente il mondo intero dal tenebroso regno delle note scritte per portarlo alla luce; eseguite, se vi pare, la Sonata al chiaro di luna come il singhiozzare di un morente, e orchestrate la Maria funebre dell'opera 26 nel modo più moderno, fate sorgere oggi, come per incanto, dalla Sonata a Waldestein un idillio con la Natura, per farne domani una lotta tra voi e il mondo, e il giorno appresso suonate in piena forma la musica pura, quando vi sarete così agguerriti da dilettarvi alle forme; c'è tutto qui, allora metterete le ali che porteranno voi e gli altri nel regno della fantasia e potrete contemplare la dimora dove stava lo spirito di Beethoven. Trarrete ancora godimento da questo magnifico pianoforte che possiede oggi tutta la gamma di colore dell'orchestra e domani emette suoni che provengono da altre sfere!"
(Edwin Fischer)

Ehm...parole vere...lui ci è riuscito. Ascoltate il "suo" Concerto n.5 di Beethoven e il Concerto n.2 di Brahms, sotto la direzione di Wilhelm Furtwangler, e mi darete ragione. Ne sono certo.
Altra questione, a mio avviso non trascurabile, è quella legata alla divergenza tra le intenzioni del compositore e quelle dell'interprete. In fondo, diciamocelo in tutta franchezza, quante volte, nell'eseguire un brano, ci capita di dover scegliere tra ciò che è scritto e ciò che vorremmo fare??
Sentirsi "in gabbia" quando si fà musica non è proprio una sensazione bellissima.
Lo stesso Gould, in un'intervista concessa a Dennis Braithwaite per il quotidiano "Star of Toronto" il 28 marzo 1959, interrogato sull'increscioso problema dell'interpretazione affermava:
"Sono ben pochi i fortunati che possono dire che il loro modo di sentire la musica è lo stesso di quello del compositore. Ma a volte mi domando perchè ci preoccupiamo così tanto di una pretesa fedeltà alla tradizione della generazione del compositore piuttosto che a quella dell'interprete. Perchè, ad esempio sforzarsi di suonare Beethoven come si presuppone che Beethoven abbia suonato? Schnabel ci ha provato. Malgrado tutta la mia ammirazione per Schnabel mi sembra un'assurdità, soprattutto perché non prendeva in considerazione la differenza di strumento. Lui usava il pedale nel modo in cui alcuni studiosi affermavano che Beethoven volesse, ma senza rendersi conto che questa tecnica del pedale acquistava tutt'altro senso su uno strumento contemporaneo. Sono sicuro che Mozart molto spesso non approverebbe quello che faccio della sua musica. L'interprete deve avere una sua fede, anche cieca in ciò che fà; deve essere convinto di poter scoprire possibilità d'interpretazione che il compositore non avrebbe mai considerato. E' del tutto possibile. Esistono al giorno d'oggi esempi di compositori contemporanei, di cui mi permetta di tacere i nomi, che sono i peggiori interpreti della propria musica.
Sono sicuro che ciò sia dovuto al fatto che sentono interiormente tali e tante cose nella propria musica da non rendersi conto di non riuscire ad esprimerle. Non sanno quel che deve fare un interprete per dare vita a queste cose"
(Glenn Gould)

Glenn Gould suona Beethoven - Sonata op.31 n°2 


Il problema della esecuzione-percezione musicale, secondo me, va ricercato in un aspetto essenziale della questione: la musica, l'arte astratta per eccellenza, è la più condizionata, ossia la più legata alla realtà fenomenica attraverso cui si manifesta.
Il senso di un'immagine, il significato di una parola il cui contenuto lessicale è stato modificato nel tempo si possono in qualche modo ricostruire mediante atti intellettuali. Non è così per la musica. "Sentire" un brano come suonava una volta è impossibile, e non possiamo di certo comprendere una frase, un discorso, che faceva leva su un accordo, una "tensione" che era tale allora, ma che oggi non riconosciamo più ( o non nello stesso modo). Si dovrebbe "ricostruire" una verginità dell'orecchio, ma questo è impossibile. Più la composizione è antica e più l'emozione legata al fenomeno acustico muta. Si affievolisce. Consoliamoci dicendo che ciò che abbiamo perso di "originale" in una sonata di Beethoven è nulla se paragonato a quello che abbiamo perso in composizioni di mille anni fà.
Sarebbe bello "sentire" le terze non come consonanze ma come dissonanze vietate!!!
Filologia dunque?..No grazie, o meglio...ben venga se intesa solo ed esclusivamente come ricerca storico-culturale, ma ben poco condivide con la musica.

Damiano Franco


2 commenti:

DaniloPanico ha detto...

approvo in pieno... credo che, dopo le opportune conoscenza stilistiche e storiche della partitura, per non rischiare di forzare troppo l'interpretazione, l'interprete debba mostrare di comprendere ciò che è stato scritto, e di trasmettere tutte le sue sensazioni e la sua libertà, nel momento in cui esegue un brano.. bravo damiano.. maturità e sensibilità...

Damiano Franco ha detto...

grazie danilo...