"Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero" (Oscar Wilde)

21 agosto 2009

Quando il Reality-show invade la Musica...



“Il successo di Allevi? Mi offende” «Presuntuoso e mai originale» (Uto Ughi)

Il concerto Natalizio di Palazzo Madama, promosso dal Senato della Repubblica in cui Giovanni Allevi ha suonato e diretto sue composizioni ha provocato una vera "querelle" tra il violinista Uto Ughi e lo stesso pianista.
Vi riporto qui la famosa intervista rilasciata il 24 Dicembre dello scorso anno a Sandro Cappelletto per la Stampa da Uto Ughi:

«Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo (...) offeso come musicista (...) Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze».

Che cosa più la infastidisce di Allevi: la sua musica, le sue parole? «Le composizioni sono musicalmente risibili e questa modestia di risultati viene accompagnata da dichiarazioni che esaltano la presunta originalità dell’interprete. Se cita dei grandi pianisti del passato, lo fa per rimarcare che a differenza di loro lui è “anche” un compositore. Così offende le interpretazioni davvero grandi: lui è un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina. Questo deve essere chiaro».
Come definire la sua musica? «Un collage furbescamente messo insieme. Nulla di nuovo. Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla, come ha scritto Claudio Magris. Ma non bisogna stancarsi di ricordare che Beethoven non è Zucchero e Zucchero non è Beethoven. Ma Zucchero ha una personalità molto più riconoscibile di quella di Allevi (...) Mi fa molto male questo inquinamento della verità e del gusto. Trovo colpevole che le istituzioni dello Stato avvalorino un simile equivoco. Evidentemente i consulenti musicali del Senato della Repubblica sono persone di poco spessore. Tutto torna: è anche la modestia artistica e culturale di chi dirige alcuni dei nostri teatri d’opera, delle nostre associazioni musicali e di spettacolo a consentire lo spaventoso taglio alla cultura contenuto negli ultimi provvedimenti del governo. Interlocutori deboli rendono possibile ogni scempio, hanno armi spuntate per fronteggiarlo».

Che opinione ha di Allevi come esecutore? «In altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio».
Lui si ritiene un erede e un profondo innovatore della tradizione classica. «Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui».
Però è un fenomeno mediatico e commerciale assai rilevante. «Si tratta di un’esaltazione collettiva e parossistica dietro alla quale agisce evidentemente un forte investimento di marketing. Mi sorprende che giornali autorevoli gli concedano spazio, spesso in modo acritico. Anche Andrea Bocelli ha un grande successo, ma non è mai presuntuoso quando parla di sé. Da musicista, conosce i propri limiti».
Allevi è giovane. Non vuole offrirgli qualche consiglio? «Rifletta tre volte prima di parlare. Sia umile e prudente. Ma forse non è neppure il vero responsabile di quello che dice».

(Intervista realizzata da Sandro Cappelletto)




Alle dichiarazioni del celebre violinista di Busto Arsizio sono succedute le dichiarazioni di Giovanni Allevi che si è difeso a sua volta attaccando Ughi e la sua "casta" privilegiata, con parole dure e con quell'atteggiamento "estatico" tipico del tanto osannato talento, lasciando gran parte di noi sconcertati di fronte ad un volgare spettacolo. Insomma, è stata una delle ultime "perle" che il mondo dei mass-media poteva offrirci.
La colpa di tutto questo è, a mio avviso, della critica musicale. Giovanni Allevi lo assolvo. Soprattutto quando è seduto al pianoforte o quando cerca di dirigere l'orchestra. In fondo un artista non può essere ritenuto responsabile dell'ignoranza altrui. L'unica pecca del pianista è l'essersi collocato sul piedistallo della musica classica spesso con affermazioni bizzare, autoesaltanti e quasi "profetiche". Ha invaso un mondo che non era il suo e lo ha fatto con l'ingenuità (sua e dei suoi produttori) di chi non si accorge che intorno c'è un mondo (in questo caso quello musicale) in fermento e ormai stufo della pochezza culturale di questo paese.
La critica musicale dovrebbe svolgere compiti più vasti di ciò che normalmente svolge. Di certo non si concretizza esclusivamente nell'attività del professionista pagato da un qualsiasi giornale per scrivere opinioni sulla musica ascoltata. In una società, come quella odierna, che consuma avidamente e in maniera sempre maggiore musica, il dovere di una critica attenta dovrebbe essere principalmente la "divulgazione" (etimologicamente parlando essa dovrebbe fungere da mediazione tra il vulgus e il mondo degli artisti), ossia la diffusione di conoscenze e opinioni sulla musica. Divulgazione filtrata s'intende, non di tutto lo schifo che passa oggi dai mass-media!
Nell' epoca della carta stampata (e penso all'Ottocento), la critica musicale ha affrontato con impegno e spesso in modo assai pregevole il compito arduo di cui si sentiva il bisogno: educare all'ascolto. Obiettivo della critica musicale giornalistica era quello di dar vita ad un tessuto sociale nel quale la musica trovasse accoglienza adeguata alle aspettative dei suoi creatori. Principalmente soddisfaceva quel bisogno, sentito un po' da tutti, di rovesciare un sistema nel quale la musica, in quanto riservata all'élite aristocratica, si rivolgeva ad un pubblico assai limitato e composto esclusivamente da gente che aveva una notevole dimistichezza con la pratica ed il linguaggio musicale. Il risultato è stato tutt'altro che fallimentare.
Ma parliamo di un secolo fa... ne è passato di tempo.
Il Novecento, con l'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, non ha fatto altro che sgretolare ciò che era stato costruito precedentemente.
I mass-media hanno progressivamente abbandonato l'idea di innalzare il livello culturale della popolazione, adattandosi per lo più a divenire strumenti promozionali al servizio di un'industria culturale bisognosa di un mercato facilmente disponibile alle proprie strategie di vendita.
E infatti oggi, sui giornali, nelle trasmissioni radiofoniche e in tv, la critica musicale è stata letteralmente sostituita da un giornalismo musicale che solo apparentemente opera in autonomia, ma in realtà agisce a livello intrinseco, in maniera prevalentemente propagandistica rispetto all'oggetto di cui si occupa.
In Italia, ormai, la preferenza che i quotidiani dimostrano alla presentazione dell'evento anziché alla recensione, si instaura presumibilmente su questa linea di marketing della notizia. Dunque, per scelte redazionali la recensione scompare. Scompare anche perchè è d'impiccio, non interessa a nessuno e poi perchè gli stessi giornalisti non hanno l'autorevolezza per difendere e tutelare la propria indipendenza.
Quando invece la recensione c'è, è pressochè inutile. Nel mondo della musica classica, per esempio, è inefficace, in quanto si risolve solo ed esclusivamente nell'attenzione per il testo e l'interpretazione, quando servirebbe ben altro. Si fallisce già in partenza se ci si preoccupa solo di indagare un'opera o un qualsiasi evento musicale solo da un punto di vista estetico, ignorando di fatto l'aspetto culturale e addirittura etico che il fenomeno musicale comporta.(Non voglio parlare dell'incompetenza del critico recensore).
Come si fa a dimenticare il meccanismo perverso messo in moto dai mass-media in occasione della famosa stecca di Luciano Pavarotti nella stagione 92/93 del Teatro alla Scala di Milano?
Fu un episodio vergognoso. Tutti pronti a parlare di un misero errore provocato da una goccia di muco che impietosamente sporcò il suo Si naturale. Ed è l'esempio che avvalora il nostro ragionamento, ossia della "pochezza" di una critica musicale volta a diffondere "futili" notizie ( in questo caso per l'appunto sull'esecuzione del povero Pavarotti) con il solo scopo di vendere. Perchè è ovvio che nei giorni successivi all'episodio, tutte le migliori testate giornalistiche parlavano solo ed esclusivamente della stecca, mica del Don Carlos. Ma sì. E chi se ne frega del Don Carlos!
Tornando all'episodio Ughi-Allevi, la cosa che più mi disgusta è il fatto che un musicista come Uto Ughi si sia sostituito alla critica assente e ancor di più che lo abbia fatto in maniera così eclatante, assecondando, di fatto, il meccanismo del marketing pubblicitario della notizia. Perchè se c'è una cosa certa è che, di tutta la querelle, l'unica cosa che interessa ai più è il battibecco tra i due musicisti. Mi rattrista ma è così. A preoccuparsi del valore della musica di Allevi sono davvero in pochi cioè solo gli addetti ai lavori: compositori, pianisti, e qualche appassionato di musica. il resto degli italiani ha seguito la vicenda, in prima pagina sui giornali, nei tg, sul web, con quella stupida curiosità di chi guarda un reality-show. Ovviamente i giornalisti sono in prima fila in questa grande fetta di italiani. E il motivo lo abbiamo già detto. Sicuramente non mi meraviglierei se in qualche trasmissione televisiva comparissero Ughi e Allevi seduti l'uno di fronte all'altro. Sai che audience!
L'altro nodo di Gordio, troppo spesso taciuto, però è un altro; è l'errata formazione del macro-ambiente (grande pubblico), ossia del fruitore di musica. La carenza di un'adeguata educazione musicale nell'istruzione italiana non ha sicuramente contribuito a quel processo di sensibilizzazione verso la musica cosiddetta "colta", quindi non c'è da stupirsi se oggi si scambia Giovanni Allevi per un "grande compositore di musica classica contemporanea" ( come lui stesso si definisce peraltro). Io non mi stupisco affatto.
Ci rido su.

Damiano Franco

3 commenti:

giuseppe quaranta ha detto...

Negli Aforismi di Zürau, Kakfa congettura che la nostra cacciata dal paradiso, che credevamo la nostro condanna, con nostra infinita sorpresa, non è mai avvenuta. La tremenda punizione è invece essere stati resi ciechi all’Eden, questo paradiso di bellezza, che ci circonda sempre.
Kafka intuiva, nella sua infinita pena,un mondo pieno di bellezza, ma allo stesso tempo non aveva la chiave per accedervi. Da qui il suo linguaggio sommesso. Quasi scialbo.
Oggi la congettura kafkiana può essere portata fino agli estremi mari della sconfitta: riusciamo persino a intravedere la bellezza, ma ci siamo assefuatti a essa e al suo significato, che tutto ci sembra sterile e privo di emozione. Ci manca la meraviglia. E quando ad un uomo manca la meraviglia, il superficiale è in agguato. Salta fuori un Pinco Allevi qualunque e ne facciamo un dio. Entra proprio di diritto nella costellazione degli dei minori di cui è fatta la nostra esistenza.
Credo non ci sia solo un problema di educazione musicale alla base di questo. Ma c'è, intravisto in questa tua ottima postilla, il rilievo di una tendenza generale del mondo, di un disordine autorizzato, di una superficialità approvata...

Non sappiamo inoltre accontentarci della bellezza, non sappiamo guardarla senza averne qualcosa in cambio. Si burlava di questo Nietzsche nelle "Considerazioni inattuali", quando disse che l'uomo chiede sempre a un uccello in volo: perchè non mi parli della tua felicità, e soltanto mi guardi?
Quando Allevi ci dice che il pezzo è un incontro di Karate, siamo contenti di non naufragare nel dolce mare della emozione pura.
Ma dobbiamo ricordare che, come diceva il filosofo, "troviamo parole per ciò che è già morto nel nostro cuore".

giuseppe quaranta ha detto...

In questo senso, la musica dei grandi classici è più simile al rotolo dato da Dio, nella visione così bene descritta nel libro di Ezechiele, al profeta. Dio rapisce il profeta in una scenario molto suggestivo e lo invita a mangiare il rotolo della legge che lo farà dotto del suo messaggio: ricostruire l'alleanza col popolo. Questo rotolo all'inizio è dsgustoso, poi, masticandolo, diventa per Ezechiele sempre più dolce, e alla fine è "come il miele".

Morale: l'ascolto continuo migliora la nostra percezione, e ci avvicina alla vera musica.

Damiano Franco ha detto...

grazie per il contributo Giuseppe...