"Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero" (Oscar Wilde)

28 agosto 2009

La Musica negli occhi



"Il significato dell'emozione musicale è un dono dell'immaginazione"
Samuel Taylor Coleridge


Camille Pissarro : Boulevard Montmartre, tempo di pioggia, pomeriggio - 1897



"Visto dall'alto...vedo un cielo grigio, dei grattacieli, una strada bagnata da una sottile pioggerellina, gli ombrelli aperti sui marciapiedi, la gente indaffarata nelle proprie cose, le urla lontane, le auto...
ed io che osservo da chissà dove.
Ad un tratto mi sembra di essere lì per strada.
Sono in mezzo agli altri, cammino un poco lentamente.
Mi guardo attorno e vedo che potrei essere ovunque, in un bar, a bere un buon caffè, 
a leggere il giornale,
a scegliere di andare...
Mi accendo un'altra sigaretta. Si, perchè no...
passeggio un pò lungo le vetrine, guardandole con aria indifferente, disinteressata,
cammino ancora, incrocio lo sguardo di gente sconosciuta.
Penso che potrei incontrarla. Sì. Lì per strada. Potremmo fare due passi.
E già parliamo e camminiamo ancora.
Corno inglese io. Nostalgico e meditabondo.
Pianoforte lei, vivace come le sue parole che sfuggono e scivolano via come biscrome, e intanto penso che potrei sprofondare nei suoi occhi, mentre chiudono le prime serrande e si accendono le luci della sera.
E ancora...potrei, potrei...potrei tutto, ma non ho più tempo.
Ormai spiove.
Mi accorgo che l'incanto si dissolve.
Quel trillo e quell'armonia schiarita mi rimandano alla realtà, e a me resta solo il ricordo di un'emozione vista con la mente."

Damiano Franco


Maurice Ravel : Concerto in Sol - II° movimento (Adagio assai)
Arturo Benedetti Michelangeli / Sergio Celibidache

21 agosto 2009

Quando il Reality-show invade la Musica...



“Il successo di Allevi? Mi offende” «Presuntuoso e mai originale» (Uto Ughi)

Il concerto Natalizio di Palazzo Madama, promosso dal Senato della Repubblica in cui Giovanni Allevi ha suonato e diretto sue composizioni ha provocato una vera "querelle" tra il violinista Uto Ughi e lo stesso pianista.
Vi riporto qui la famosa intervista rilasciata il 24 Dicembre dello scorso anno a Sandro Cappelletto per la Stampa da Uto Ughi:

«Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo (...) offeso come musicista (...) Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze».

Che cosa più la infastidisce di Allevi: la sua musica, le sue parole? «Le composizioni sono musicalmente risibili e questa modestia di risultati viene accompagnata da dichiarazioni che esaltano la presunta originalità dell’interprete. Se cita dei grandi pianisti del passato, lo fa per rimarcare che a differenza di loro lui è “anche” un compositore. Così offende le interpretazioni davvero grandi: lui è un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina. Questo deve essere chiaro».
Come definire la sua musica? «Un collage furbescamente messo insieme. Nulla di nuovo. Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla, come ha scritto Claudio Magris. Ma non bisogna stancarsi di ricordare che Beethoven non è Zucchero e Zucchero non è Beethoven. Ma Zucchero ha una personalità molto più riconoscibile di quella di Allevi (...) Mi fa molto male questo inquinamento della verità e del gusto. Trovo colpevole che le istituzioni dello Stato avvalorino un simile equivoco. Evidentemente i consulenti musicali del Senato della Repubblica sono persone di poco spessore. Tutto torna: è anche la modestia artistica e culturale di chi dirige alcuni dei nostri teatri d’opera, delle nostre associazioni musicali e di spettacolo a consentire lo spaventoso taglio alla cultura contenuto negli ultimi provvedimenti del governo. Interlocutori deboli rendono possibile ogni scempio, hanno armi spuntate per fronteggiarlo».

Che opinione ha di Allevi come esecutore? «In altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio».
Lui si ritiene un erede e un profondo innovatore della tradizione classica. «Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui».
Però è un fenomeno mediatico e commerciale assai rilevante. «Si tratta di un’esaltazione collettiva e parossistica dietro alla quale agisce evidentemente un forte investimento di marketing. Mi sorprende che giornali autorevoli gli concedano spazio, spesso in modo acritico. Anche Andrea Bocelli ha un grande successo, ma non è mai presuntuoso quando parla di sé. Da musicista, conosce i propri limiti».
Allevi è giovane. Non vuole offrirgli qualche consiglio? «Rifletta tre volte prima di parlare. Sia umile e prudente. Ma forse non è neppure il vero responsabile di quello che dice».

(Intervista realizzata da Sandro Cappelletto)




Alle dichiarazioni del celebre violinista di Busto Arsizio sono succedute le dichiarazioni di Giovanni Allevi che si è difeso a sua volta attaccando Ughi e la sua "casta" privilegiata, con parole dure e con quell'atteggiamento "estatico" tipico del tanto osannato talento, lasciando gran parte di noi sconcertati di fronte ad un volgare spettacolo. Insomma, è stata una delle ultime "perle" che il mondo dei mass-media poteva offrirci.
La colpa di tutto questo è, a mio avviso, della critica musicale. Giovanni Allevi lo assolvo. Soprattutto quando è seduto al pianoforte o quando cerca di dirigere l'orchestra. In fondo un artista non può essere ritenuto responsabile dell'ignoranza altrui. L'unica pecca del pianista è l'essersi collocato sul piedistallo della musica classica spesso con affermazioni bizzare, autoesaltanti e quasi "profetiche". Ha invaso un mondo che non era il suo e lo ha fatto con l'ingenuità (sua e dei suoi produttori) di chi non si accorge che intorno c'è un mondo (in questo caso quello musicale) in fermento e ormai stufo della pochezza culturale di questo paese.
La critica musicale dovrebbe svolgere compiti più vasti di ciò che normalmente svolge. Di certo non si concretizza esclusivamente nell'attività del professionista pagato da un qualsiasi giornale per scrivere opinioni sulla musica ascoltata. In una società, come quella odierna, che consuma avidamente e in maniera sempre maggiore musica, il dovere di una critica attenta dovrebbe essere principalmente la "divulgazione" (etimologicamente parlando essa dovrebbe fungere da mediazione tra il vulgus e il mondo degli artisti), ossia la diffusione di conoscenze e opinioni sulla musica. Divulgazione filtrata s'intende, non di tutto lo schifo che passa oggi dai mass-media!
Nell' epoca della carta stampata (e penso all'Ottocento), la critica musicale ha affrontato con impegno e spesso in modo assai pregevole il compito arduo di cui si sentiva il bisogno: educare all'ascolto. Obiettivo della critica musicale giornalistica era quello di dar vita ad un tessuto sociale nel quale la musica trovasse accoglienza adeguata alle aspettative dei suoi creatori. Principalmente soddisfaceva quel bisogno, sentito un po' da tutti, di rovesciare un sistema nel quale la musica, in quanto riservata all'élite aristocratica, si rivolgeva ad un pubblico assai limitato e composto esclusivamente da gente che aveva una notevole dimistichezza con la pratica ed il linguaggio musicale. Il risultato è stato tutt'altro che fallimentare.
Ma parliamo di un secolo fa... ne è passato di tempo.
Il Novecento, con l'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, non ha fatto altro che sgretolare ciò che era stato costruito precedentemente.
I mass-media hanno progressivamente abbandonato l'idea di innalzare il livello culturale della popolazione, adattandosi per lo più a divenire strumenti promozionali al servizio di un'industria culturale bisognosa di un mercato facilmente disponibile alle proprie strategie di vendita.
E infatti oggi, sui giornali, nelle trasmissioni radiofoniche e in tv, la critica musicale è stata letteralmente sostituita da un giornalismo musicale che solo apparentemente opera in autonomia, ma in realtà agisce a livello intrinseco, in maniera prevalentemente propagandistica rispetto all'oggetto di cui si occupa.
In Italia, ormai, la preferenza che i quotidiani dimostrano alla presentazione dell'evento anziché alla recensione, si instaura presumibilmente su questa linea di marketing della notizia. Dunque, per scelte redazionali la recensione scompare. Scompare anche perchè è d'impiccio, non interessa a nessuno e poi perchè gli stessi giornalisti non hanno l'autorevolezza per difendere e tutelare la propria indipendenza.
Quando invece la recensione c'è, è pressochè inutile. Nel mondo della musica classica, per esempio, è inefficace, in quanto si risolve solo ed esclusivamente nell'attenzione per il testo e l'interpretazione, quando servirebbe ben altro. Si fallisce già in partenza se ci si preoccupa solo di indagare un'opera o un qualsiasi evento musicale solo da un punto di vista estetico, ignorando di fatto l'aspetto culturale e addirittura etico che il fenomeno musicale comporta.(Non voglio parlare dell'incompetenza del critico recensore).
Come si fa a dimenticare il meccanismo perverso messo in moto dai mass-media in occasione della famosa stecca di Luciano Pavarotti nella stagione 92/93 del Teatro alla Scala di Milano?
Fu un episodio vergognoso. Tutti pronti a parlare di un misero errore provocato da una goccia di muco che impietosamente sporcò il suo Si naturale. Ed è l'esempio che avvalora il nostro ragionamento, ossia della "pochezza" di una critica musicale volta a diffondere "futili" notizie ( in questo caso per l'appunto sull'esecuzione del povero Pavarotti) con il solo scopo di vendere. Perchè è ovvio che nei giorni successivi all'episodio, tutte le migliori testate giornalistiche parlavano solo ed esclusivamente della stecca, mica del Don Carlos. Ma sì. E chi se ne frega del Don Carlos!
Tornando all'episodio Ughi-Allevi, la cosa che più mi disgusta è il fatto che un musicista come Uto Ughi si sia sostituito alla critica assente e ancor di più che lo abbia fatto in maniera così eclatante, assecondando, di fatto, il meccanismo del marketing pubblicitario della notizia. Perchè se c'è una cosa certa è che, di tutta la querelle, l'unica cosa che interessa ai più è il battibecco tra i due musicisti. Mi rattrista ma è così. A preoccuparsi del valore della musica di Allevi sono davvero in pochi cioè solo gli addetti ai lavori: compositori, pianisti, e qualche appassionato di musica. il resto degli italiani ha seguito la vicenda, in prima pagina sui giornali, nei tg, sul web, con quella stupida curiosità di chi guarda un reality-show. Ovviamente i giornalisti sono in prima fila in questa grande fetta di italiani. E il motivo lo abbiamo già detto. Sicuramente non mi meraviglierei se in qualche trasmissione televisiva comparissero Ughi e Allevi seduti l'uno di fronte all'altro. Sai che audience!
L'altro nodo di Gordio, troppo spesso taciuto, però è un altro; è l'errata formazione del macro-ambiente (grande pubblico), ossia del fruitore di musica. La carenza di un'adeguata educazione musicale nell'istruzione italiana non ha sicuramente contribuito a quel processo di sensibilizzazione verso la musica cosiddetta "colta", quindi non c'è da stupirsi se oggi si scambia Giovanni Allevi per un "grande compositore di musica classica contemporanea" ( come lui stesso si definisce peraltro). Io non mi stupisco affatto.
Ci rido su.

Damiano Franco

19 agosto 2009

La Sesta : Beethoven e il suo mondo più intimo

Questo post lo dedico a me stesso.
L'ho pensato in un pomeriggio al sole, nella tranquillità della campagna, tutto preso dall'ascolto di una delle pagine musicali più belle e commoventi che siano mai state scritte nella storia della musica: la sesta sinfonia in fa maggiore "Pastorale".
Per questa sinfonia come per tutte le altre opere del Beethoven, non basterebbe un blog intero, ma cercherò di parlarne imponendomi dei limiti, sperando di non annoiarvi.
Vi dirò la verità. Io amo la Pastorale. La ritengo tra le composizioni più rappresentative di Beethoven ma non del Beethoven musicista bensì dell'uomo-Beethoven. La Nona sinfonia, con il celeberrimo Inno alla Gioia su versi di Schiller, celebra il "patto" di fratellanza, di gioia, di solidarietà tra gli uomini. Ma la sesta sinfonia ha qualcosa di più incredibilmente intimo. E' il suo "diario" in cui scrive e parla, utilizzando il linguaggio universale; rappresenta il patto con la Natura che è, in prima analisi, indubbiamente crudele nei suoi confronti come spesso accade agli uomini, ma sempre e inequivocabilmente Madre. Ed è infatti nella Natura che Beethoven si rifugia per ritrovare se stesso; è alla Natura che Beethoven parla, ed è in essa che ripone le sue speranze più intime. Qualche sera fà rileggevo alcune sue lettere, e questa mi è rimasta impressa, soprattutto in alcuni passi in cui emerge la passione di Beethoven per la vita di campagna.
La lettera è indirizzata a Therese Malfatti, nobildonna e amica "intima" del compositore.

Vienna, maggio 1810

(...) Io conduco una vita molto solitaria e tranquilla. Ci sono sì, qua e là, delle luci che vorrebbero svegliarmi, ma da quando tutti Loro sono andati via da Vienna, io sento in me un vuoto che non può essere colmato e che neppure la mia arte, che di solito mi è fedele, riesce a farmi dimenticare (...) Quanto è stata fortunata Lei, che è potuta andare in campagna già così presto.
Io non potrò godere tale beatitudine sino al giorno 8, ma già me ne rallegro come un bambino solo a pensarci. Come sarò lieto di potermene andare in giro per un pò fra siepi e boschi, fra alberi, erbe e rocce. Non c'è nessuno che possa amare la campagna quanto me. Dai boschi, dagli alberi, dalle rocce sorge l'eco che l'uomo desidera udire.

Ludwig van Beethoven

E sì. Prima ho scritto Natura crudele.
La sordità, i cui primi sintomi egli avvertì attorno al 1795, divenne definitiva nel 1818 (è questo l'anno in cui incominciò ad utilizzare i quaderni di conversazione, attraverso i quali comunicava con i suoi interlocutori). Nel testamento di Heiligenstadt, (6 ottobre 1802) egli mostra già di aver accettato, dopo mille sofferenze interiori, il suo triste destino. La sua profonda solitudine, è giustificata dalla necessità di rinchiudersi nel suo mondo, non perchè egli fosse un burbero,( quante volte abbiamo letto su pessime biografie della sua vita questa stupidaggine!!) ma perchè non riusciva a svelare ufficialmente la sua condizione di infermità ai suoi simili.
Fu il paradosso più grande per un musicista d'eccellenza.

La sinfonia n°6 in fa maggiore "Pastorale"op.68, di cui suggerisco l'ascolto, fu scritta nel 1808, quasi parallelamente alla Quinta, in un arco di tempo che va dall'estate 1807 all'estate 1808.
Le due sinfonie differiscono molto spiritualmente. Mentre la Quinta rappresenta simbolicamente l'azione e la lotta dell'uomo, la Sesta invece incarna a pieno l'ideale della vita contemplativa ed è l'eccezione nella produzione sinfonica del compositore.
Non ho postato tutta la sinfonia, ma solo una parte. La mia preferita.

Ultimo movimento: "Canto dei pastori. Sentimento di gioia e di gratitudine dopo la tempesta"

Beethoven traduce in musica i sentimenti dei pastori. Il primo tema, su cui si basa quasi tutto il movimento, deriva da un motivetto semplice, simile ai "ranz des vaches" o "Kuhreihen"(canto dei vaccai- cioè un classico canto di pastori in cui non è previsto accompagnamento).
Il video parte dalla presentazione del primo tema completo affidato ai primi violini, la tonalità è quella tipicamente "pastorale" di fa maggiore, imitato dai secondi, mentre i fiati ribattono fitte serie di terze. Subito dopo tutta l'orchestra sarà coinvolta in questo canto di lode al Creatore.
(ricordiamo che Beethoven è un Panteista: natura/creato=immagine e somiglianza del Creatore)
Appena dopo si odono reminiscenze tematiche del primo movimento (combinazione del ritmo in crome-semicrome) e della scena al ruscello (nel disegno degli archi).
(Quello di riinviare ai precedenti movimenti della Sinfonia è un atto compositivo inaugurato da Beethoven, non a caso considerato il precursore della Sinfonia ciclica). Dopo di che abbiamo un piccolo episodio in cui si alternano ondate sonore basate su accordi in "fortissimo".
Dopo la ricomparsa del primo tema affidato ai fiati, ecco il ritorno dell'inno ( 1:44"), sempre ai primi violini ma stavolta accompagnati da un lieve movimento ascendente dei secondi violini.
Una nuova melodia, fervida ed estatica allo stesso tempo, appare nei registri dei clarinetti e fagotti (prontamente inquadrati nel video). Successivamente, il primo tema riappare in minore (2:42"), gli intervalli sono modificati.Potremmo dire che è l'unico esempio di "sviluppo" di tutto il movimento; l'intenzione di Beethoven è, probabilmente, quella di creare un'analogia tra la forma adottata e il canto pastorale che non rispetta alcuna imposizione strutturale (quindi carenza di sviluppo, cosa sicuramente anomala considerando che stiamo parlando di Beethoven, ma questo si giustifica proprio per quello che dicevo poc'anzi, cioè che questa sinfonia differisce spiritualmnete dalle altre e di conseguenza non può adottare un procedimento compositivo come lo sviluppo che in Beethoven assume sempre il significato di "campo di battaglia").
Infine, il movimento assume sempre più le caratteristiche di un tema e variazioni. Il tema variato sarà ripreso dai violini (3:23"), poi dai violoncelli (3.52"), mentre l'orchestra esplode in accordi che sembrano voler suggerire tutta la potenza e l'incanto di una Natura ormai "doma", pacifica, dopo le inquietudini del temporale (4°movimento) e che si avvia al tramonto.
Buon ascolto.

Damiano Franco


Herbert von Karajan dirige l'Orchestra Filarmonica di Berlino.
5° movimento: Allegretto

9 agosto 2009

Segno, suono, storia ed emozione...

"Lei parte da false premesse se pensa che sia mia intenzione di modernizzare le opere. Al contrario, ripulendole dalla polvere della tradizione io tento di restaurare la loro giovinezza, di presentarle come suonavano per il pubblico al momento in cui per la prima volta sprizzarono dalla mente e dalla penna del compositore.
La Patetica era una sonata quasi rivoluzionaria ai suoi giorni e deve suonare rivoluzionaria. Non si mette mai abbastanza passione nell'Appassionata, che fu nella sua epoca il culmine dell'espressione della passione. Quando suono Beethoven tento di raggiungere la libertà, l'energia nervosa e l'umanità che sono i segni peculiari delle sue composizioni, in contrasto con quelle dei predecessori.
Rifacendomi al carattere dell'uomo Beethoven e a ciò che si dice del suo modo di suonare, mi sono costruito un ideale che è stato a torto definito moderno e che in realtà non è altro che vita. Faccio lo stesso con Liszt; e stranamente molti mi approvano in questo caso mentre mi condannano nell'altro"

Busoni suona Liszt - Studio Trascendentale n°5 "Feux Follets"


Queste sono le parole scritte nel 1902 da Ferruccio Busoni a Marcel Rémy. Così si difende dagli attacchi della critica causati dalle sue esecuzioni pianistiche. Purtroppo di incisioni discografiche del Busoni non ce ne restano molte, ma quei pochi dischi, le sue revisioni e le polemiche che esse suscitarono, testimoniano una tendenza tipica del pianista italiano, ossia quella di "riscrivere" pianisticamente la composizione. E' noto che egli usasse diverse strategie per intervenire sulla percezione dell'ascoltatore avvalendosi, per esempio, del pedale di risonanza, agendo sul tocco, sul timbro, sviluppando una vera e propria tecnica del suono che sarà seguita successivamente da V.Horowitz.
Karl Nef diceva di lui: " Busoni è un Creso nelle sfumature del tocco" e lui stesso affermava: "e il pianoforte possiede qualcosa che è esclusivamente suo, un mezzo inimitabile, una fotografia del cielo, un raggio della luce lunare: il pedale. Gli effetti del pedale sono ancora lungi dall'essere esauriti, perché sono rimasti tuttora schiavi di una teoria armonica gretta e irragionevole, si tratta il pedale come se si volesse ridurre l'aria e l'acqua a forme geometriche" ( Apprezzare il pianoforte, 1910).
Motivo di questa ricerca del suono era il desiderio di riprodurre l'effetto originale della musica non come era stata percepita al tempo dell'autore, ma come era stata psichicamente colta dagli ascoltatori del passato. Nell'epoca della codificazione della tradizione, e della ricerca filologica, Busoni provava a conservare il concetto lisztiano di perpetua riscoperta del valore emotivo originario della musica, sottraendolo alla storicizzazione; tentativo che non poteva non restare isolato e non apparire provocatorio, in un'epoca che cominciava addirittura, a riadottare gli strumenti antichi e a ristudiare trattati di esecuzione del passato, e che puntava al corretto restauro filologico.
Come ha ben notato Piero Rattalino nella sua "Storia del pianoforte", la conciliazione tra le aspirazioni di Busoni e lo storicismo di Backhaus e Schnabel avviene grazie a Fischer, sommo pianista la cui grandezza sta proprio nell'aver saputo rispettare le ragioni della storia (basti pensare al fatto che egli utilizzava edizioni dei testi classici filologicamente correttissime), donando al tempo stesso nuova linfa alle composizioni, vitalità, e individualismo interpretativo mirato alla riscoperta psichica dell'artista creatore.
Ecco una sintesi del suo pensiero sull'esecuzione di Beethoven:
"Sbaglierò forse, ma ho questa impressione: siamo diventati troppo raffinati, troppo colti (...) Distinguiamo le sottili differenze che corrono nella forma e nel colore delle diverse epoche: quando Beethoven sentiva ancora, e dopo che divenne sordo; sappiamo tutto questo, ma i vulcani, che emergendo facevano soffrire Beethoven, i soli che lo illuminavano, le grida che gli spezzavano il cuore, non ci scuotono. E qui stanno le fonti dell'avvenire: dimenticate il pianoforte, lo stile, l'educazione, la scienza, e vivete Beethoven, suonate l'organo, il violino, fischiate, suonate il timpano, cantate di nuovo sul pianoforte, suscitate nuovamente il mondo intero dal tenebroso regno delle note scritte per portarlo alla luce; eseguite, se vi pare, la Sonata al chiaro di luna come il singhiozzare di un morente, e orchestrate la Maria funebre dell'opera 26 nel modo più moderno, fate sorgere oggi, come per incanto, dalla Sonata a Waldestein un idillio con la Natura, per farne domani una lotta tra voi e il mondo, e il giorno appresso suonate in piena forma la musica pura, quando vi sarete così agguerriti da dilettarvi alle forme; c'è tutto qui, allora metterete le ali che porteranno voi e gli altri nel regno della fantasia e potrete contemplare la dimora dove stava lo spirito di Beethoven. Trarrete ancora godimento da questo magnifico pianoforte che possiede oggi tutta la gamma di colore dell'orchestra e domani emette suoni che provengono da altre sfere!"
(Edwin Fischer)

Ehm...parole vere...lui ci è riuscito. Ascoltate il "suo" Concerto n.5 di Beethoven e il Concerto n.2 di Brahms, sotto la direzione di Wilhelm Furtwangler, e mi darete ragione. Ne sono certo.
Altra questione, a mio avviso non trascurabile, è quella legata alla divergenza tra le intenzioni del compositore e quelle dell'interprete. In fondo, diciamocelo in tutta franchezza, quante volte, nell'eseguire un brano, ci capita di dover scegliere tra ciò che è scritto e ciò che vorremmo fare??
Sentirsi "in gabbia" quando si fà musica non è proprio una sensazione bellissima.
Lo stesso Gould, in un'intervista concessa a Dennis Braithwaite per il quotidiano "Star of Toronto" il 28 marzo 1959, interrogato sull'increscioso problema dell'interpretazione affermava:
"Sono ben pochi i fortunati che possono dire che il loro modo di sentire la musica è lo stesso di quello del compositore. Ma a volte mi domando perchè ci preoccupiamo così tanto di una pretesa fedeltà alla tradizione della generazione del compositore piuttosto che a quella dell'interprete. Perchè, ad esempio sforzarsi di suonare Beethoven come si presuppone che Beethoven abbia suonato? Schnabel ci ha provato. Malgrado tutta la mia ammirazione per Schnabel mi sembra un'assurdità, soprattutto perché non prendeva in considerazione la differenza di strumento. Lui usava il pedale nel modo in cui alcuni studiosi affermavano che Beethoven volesse, ma senza rendersi conto che questa tecnica del pedale acquistava tutt'altro senso su uno strumento contemporaneo. Sono sicuro che Mozart molto spesso non approverebbe quello che faccio della sua musica. L'interprete deve avere una sua fede, anche cieca in ciò che fà; deve essere convinto di poter scoprire possibilità d'interpretazione che il compositore non avrebbe mai considerato. E' del tutto possibile. Esistono al giorno d'oggi esempi di compositori contemporanei, di cui mi permetta di tacere i nomi, che sono i peggiori interpreti della propria musica.
Sono sicuro che ciò sia dovuto al fatto che sentono interiormente tali e tante cose nella propria musica da non rendersi conto di non riuscire ad esprimerle. Non sanno quel che deve fare un interprete per dare vita a queste cose"
(Glenn Gould)

Glenn Gould suona Beethoven - Sonata op.31 n°2 


Il problema della esecuzione-percezione musicale, secondo me, va ricercato in un aspetto essenziale della questione: la musica, l'arte astratta per eccellenza, è la più condizionata, ossia la più legata alla realtà fenomenica attraverso cui si manifesta.
Il senso di un'immagine, il significato di una parola il cui contenuto lessicale è stato modificato nel tempo si possono in qualche modo ricostruire mediante atti intellettuali. Non è così per la musica. "Sentire" un brano come suonava una volta è impossibile, e non possiamo di certo comprendere una frase, un discorso, che faceva leva su un accordo, una "tensione" che era tale allora, ma che oggi non riconosciamo più ( o non nello stesso modo). Si dovrebbe "ricostruire" una verginità dell'orecchio, ma questo è impossibile. Più la composizione è antica e più l'emozione legata al fenomeno acustico muta. Si affievolisce. Consoliamoci dicendo che ciò che abbiamo perso di "originale" in una sonata di Beethoven è nulla se paragonato a quello che abbiamo perso in composizioni di mille anni fà.
Sarebbe bello "sentire" le terze non come consonanze ma come dissonanze vietate!!!
Filologia dunque?..No grazie, o meglio...ben venga se intesa solo ed esclusivamente come ricerca storico-culturale, ma ben poco condivide con la musica.

Damiano Franco


8 agosto 2009

La Musica: Arte delle Muse

Fin dai tempi più antichi la musica venne considerata come l'arte per eccellenza. Lo sta a dimostrare l'origine del suo nome "musica" (dal greco musiké), cioè "arte delle Muse".
Infatti, i Greci, mentre attribuivano ognuna delle altre arti a una sola delle nove figlie di Zeus e Mnemosine, la musica non soltanto veniva riferita a due (Euterpe, Musa dell'auletica, cioè dell'arte di suonare strumenti a fiato, e della lirica e Polinnia, inventrice della lira e Musa dei sacri inni), ma faceva capo alle Muse in generale. L'Olimpo era pieno di tutori e inventori di musica: Pan con la pastorale syrinx ( o flauto di Pan); Dioniso, cantautore d'inebrianti ditirambi; Apollo citaredo, virtuoso della cetra e guida delle Muse, vincitore del sileno Marsia il quale aveva osato sfidarlo col flauto, inventato da Atena e poi buttato via perché nel suonarlo le si deformavano le guance. Con la cetra Apollo consola sè stesso durante il suo servaggio presso Admeto, placa le forze avverse della natura, incanta le bestie. Il suo seguace Orfeo, oltre agli animali, ammalia e muove a pietà Cerbero e Plutone nel tentativo di far tornare Euridice dagli inferi.
Per resistere al canto delle Sirene che trascina i navigatori nei gorghi marini, Ulisse si fa legare all'albero della sua nave. Nei mitici greci la musica riesce non solo a commuovere dei, semidei, uomini e animali: può muovere persino i sassi: con l'aiuto della lira d'oro donata da Ermete, i gemelli Anfione e Zeto costruiscono le mura di Tebe. Per converso le bibliche trombe di Giosuè fanno crollare le mura di Gerico.
Dati questi poteri attribuiti alla musica, i filosofi e i legislatori greci le assegnavano un posto determinante nell'educazione e negli ordinamenti civili (ah..bei tempi!!) .
A ognuno dei modi del sistema musicale greco veniva attribuito un particolare ethos, cioè un carattere specifico definito non solo da precise virtù espressive, ma anche capace d'influire sul comportamento umano. Nelle Leggi, nel Convito e soprattutto nella Repubblica, Platone delinea il ruolo che la musica dovrebbe svolgere nello Stato ideale. Egli ammette solo due "modi": il frigio, ritenuto idoneo a suscitare entusiasmo misurato e a indurre alla non violenza, e il dorico, "severo, grave, virile", adatto per intonare canti tali da incoraggiare nobili imprese (belliche soprattutto).

Anakrousis. Frammento del primo stasimo (canto corale) della tragedia Oreste di Euripide, (V sec. a.C.) con notazione vocale e interpolazione strumentali.


Il ritmo, è quello proprio di canti di intensa e veemente drammaticità, con alternanza di piedi ternari e quinari e che, per le sue spezzettature e per la forza degli accenti, ha appunto un ethos di grande agitazione. Autore: Anonimo (Euripide?)

Ascoltiamo un esempio di ciò che poteva essere all'epoca di Euripide:


Il brano corale euripideo è l'esempio antico più cospicuo che possediamo di una musica cromatica.
A parte il fatto che delle musiche dall'antichità greca ci sono pervenuti non più di una ventina di brani ( in parte frammentari e d'incerta attribuzione), l'ethos e il potere espressivo di tali musiche risultano notevolmente affievoliti e comunque non direttamente afferrabili.
Bisogna considerare però che anche oggi la musica serba una sua efficacia suggestiva com'è dimostrato, tra l'altro dal fatto che la pubblicità che ci inonda a getto continuo dai mezzi di comunicazione di massa ricorre quasi sempre a supporti musicali, anche se spesso banali. (la cosa triste è che la musica, per il grande pubblico è solo "supporto"..supporto nella pubblicità, supporto nei film, supporto quando si è in viaggio e si ascolta l'autoradio, supporto nel pub...ecc..).
Platone assegnava invece alla musica compiti altissimi: doveva non solo contribuire a mantenere l'ordine civile e sociale, ma anche a reggere lo Stato e l'intero cosmo. Nel Timeo, Platone racconta di come Dio procedette alla formazione dell' "anima del mondo" servendosi degli intervalli musicali caratterizzanti il modo dorico, così come li aveva calcolati Pitagora. Agli intervalli proporzionati tra le sette note vengono fatte corrispondere anche le distanze tra le sette sfere celesti e le orbite dei pianeti.
Un'eco di questa teoria dell'armonia delle sfere si troverà ancora nel trattato su L'armonia del mondo che G.Keplero pubblicherà nel 1619. Nelle tradizioni mitiche di vari popoli primitivi, ma pure Cinesi, Indiani ed Egizi, il suono appare come originario fattore che scatena la creazione del mondo.
Il Verbo che San Giovanni pone al principio di ogni cosa, nella cosmogonia indiana viene cantato. Prayapati, il dio della creazione, s'identifica con una melodia fatta esplodere dall'immagine rombo del primo tuono. Le sue parti distintive diventano cielo, atmosfera, terra. Vien da pensare alla teoria del big-bang" sostenuta oggi da alcuni dei maggiori scienziati viventi secondo i quali il nostro universo avrebbe avuto origine circa 20 miliardi di anni fà da un'immensa esplosione che avrebbe colmato lo spazio (precedentemente vuoto) di ogni specie di particelle materiali.
Sarebbero echi di quel "grande suono" che diede inizio al mondo le radiazioni a microonde che giungono da ogni parte del cosmo e che furono scoperte nel 1964 da A.Penzias e R.Wilson.
alla mitica musica coelestis che, secondo i teorici medievali, risuonerebbe dai cieli, a quella musica che reggerebbe il mondo (musica mundana) che "nasce nel cuore dell'uomo" come scrive Lih Pu-wei (239 a.C.) parlando di simboliche leggende cinesi sulle origini dei generi musicali e delle scale. Lungo tutta la storia della civiltà le concezioni e le definizioni della musica oscillano tra un mistico spiritualismo metafisico e un umanesimo volto alla diretta espressione del sentire soggettivo.
San Basilio considera la musica "opera degli angeli", San Gregorio Magno viene rappresentato nell'atto di scrivere musica sotto il dettato dello Spirito santo: una bianca colomba gli parla all'orecchio. N.Cusano, echeggiando Platone, afferma che Dio si sarebbe valso della musica nel creare il mondo al fine di stabilire tra i vari elementi del rapporti armonici tali che "la macchina del mondo non possa perire". Non per nulla, la musica faceva parte del medievale Quadrivium delle arti liberali dette matematiche, insieme all'aritmetica, alla geometria e all'astronomia.
Ai primi del Settecento G.W.Leibnitz definisce la musica "exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerari animi" (un'occulta pratica di aritmetica nella quale l'animo adopera i numeri senza saperlo). Schopenhauer parafraserà questa definizione: "Musica est exercitium metaphysicae occultum nescientis se philosophari animi" cioè "La musica è un'occulta pratica di metafisica nella quale l'anima fà filosofia senza saperlo" (cosa c'è di più giusto delle parole del filosofo tedesco!!).
Per converso nelle correnti idealistiche del Cinquecento e del Seicento prevale la concezione irrazionale della musica come espressione della soggettività affettiva.
G.Bruno pone l'accento sul potere della musica di muovere gli affetti. B.Spinoza insorge contro l'idea di una musica coelestis considerandola come risultante da un errato concetto antropomorfico di Dio:" Ciò che eccita l'udito vien chiamato suono, rumore, armonia; quest'ultimo ha incantato talmente gli uomini che essi pensarono che pure Dio si dilettasse con l'armonia..."
Anche i filosofi francesi, da R.Cartesio a J.J. Rousseau, propendono in genere verso un'interpretazione soggettiva della musica.
Considerandola eccessivamente soggettiva e irrazionale, gli esponenti principali del classicismo razionalista, da N.Boileau a J.B.Boussuet e F.Fénélon, dimostrano una "sfiducia totale nella musica come arte autonoma". Sono note le definizioni dell'opera date da C.Saint-Evremond: "l'opéra c'est une magnifique sottise"( l'opera è una magnifica scemenza) , e l'ironica domanda di B.Fontanelle: "Sonate, que me veux-tu?" ( Che vuoi da me, sonata?)
Nell'Ottocento romantico prevalgono concezioni della musica del tipo di quella standardizzata che la definisce come "l'arte di esprimere sentimenti per mezzo di suoni".
Contro simili concezioni contenutistiche indirizza la sua polemica E.Hanslick, l'accanito oppositore di R.Wagner.
Per Hanslick la musica non è altro che una successione di "forme sonore in movimento". Quest'affermazione riecheggierà negli anni venti (del 900,s' intende) nella boutade che I.Strawinskij lanciò quando agiva come capofila della reazione neo-classica contro l'espressionismo: "la musica è troppo stupida per esprimere qualche cosa". Hanslick spiegò il suo atteggiamento asserendo che "solo negando il contenuto sentimentale della musica se ne può salvare il contenuto spirituale". Strawinskij, da parte sua, riconoscendo l'esagerazione polemica del suo irriverente motto di spirito, rivendica alla musica il compito di "promuovere una comunione, un'unione dell'uomo col suo prossimo e con l'Essere", oltre a quello di organizzare, di "ordinare il tempo", di riflettere il "Grande Ordine universale". Hanslick è stato uno dei primi a constatare che la stagionatura, l'invecchiamento della musica sono assai più rapide che nelle altre arti. Nel suo saggio "Il bello Musicale" si legge: "non c'è nessun'arte che mette fuori uso tante forme come la musica...". Questa constatazione si basa sull'osservazione della "straordinaria diversità dell'effetto che molte composizioni di Mozart, Beethoven e Weber producevano sull'animo degli ascoltatori dell'epoca in contrapposto ad oggi. Quante opere di Mozart si giudicarono al loro tempo come la musica più appassionata, più ardente e più audace che potesse esistere, come il massimo che si potesse raggiungere nella rappresentazione di stati d'animo! Al senso di serenità e di puro benessere di Haydn si contrapponeva il prorompere di violente passioni, di gravissime lotte, di amari e acuti dolori nella musica di Mozart. Venti anni dopo si faceva esattamente la medesima distinzione fra Mozart e Beethoven. Il posto di Mozart come rappresentante della passione viva e travolgente fu occupato da Beethoven, e Mozart fu promosso all'olimpica classicità di Haydn".

Roman Vlad (integrato da me medesimo)